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Pfas, scienziati mobilitati per tutti i dubbi sulla salute

È tutto il mondo scientifico internazionale che si è messo alla caccia di risposte ben più fondate sugli effetti dei Pfas sulla salute umana. Non certo solo quelli ormai molto noti come Pfos o Pfoa: anche tutte le altre 4700 sostanze che sfruttano le proprietà del legame forte che si crea tra il fluoro e le catene di atomi di carbonio e che sono sfruttate nei settori produttivi di tessile, carta, semiconduttori, automotive, aerospaziale, pentole, packaging di cibo, anti-macchia, schiume. È il Snpa-Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (che mette in rete le Agenzia per l’ambiente italiane come l’Arpav veneta) a segnalare che sugli effetti dei Pfas si stanno muovendo tutti. Il Congresso degli Usa a settembre ha ascoltato a lungo Linda Birnbaum, direttore dell’istituto americano Niehs (scienze per ambiente e salute), e del Ntp che si occupa di sostanze tossiche. E da Zurigo, segnala sempre il Snpa, è uscito un documento concordato da «un gruppo di oltre 50 scienziati e regolatori internazionali che si è riunito un anno fa» e ha identificato le metodologie e gli obiettivi da condividere a livello di scienza internazionale per dare alla politica quelle risposte che mancano sui Pfas. IL SISTEMA IMMUNITARIO. Da decenni il Niehs è al lavoro, ha spiegato Birnbaum al Congresso Usa, ma per ora può parlare solo di effetti sulla salute umana “associati” ai Pfas, e non “causati dai Pfas”, perché ancora non c’è certezza anche se «certo, si registrano effetti sulla salute più in persone esposte ai Pfas che non nelle altre». E anche se la via più importante per cui entrano nel corpo è l’acqua che si beve, ci sono da studiare l’inalazione o l’assorbimento attraverso la pelle. Si trovano Pfas nel 97% degli esseri umani. Nel 2016, è stato spiegato agli Usa, si è concluso che Pfoa e Pfos sono un rischio per il sistema immunitario umano: hanno soppresso la risposta degli anticorpi negli animali e c’è un moderato livello di evidenza che influenzino anche il sistema immunitario umano: «Sono associati al calo di produzioni di anticorpi negli adulti». I DUBBI SUI TUMORI. Ci sono studi su professionisti esposti a Pfas che hanno evidenziato «incrementi di rischio» per il tumore ai testicoli e al rene associati al Pfoa». Questo non avverrebbe però per la popolazione esposta in generale, e non ci sarebbe nessuna prova per altri tipi di cancri (non ci sono conferme a uno studio sul Pfos e il tumore alla vescica, e così per la prostata o il seno ). PROBLEMI DI SVILUPPO. Gli studi hanno invece via via confermato collegamenti tra la presenza di Pfas e la nascita di bimbi maschi sottopeso o con ridotta circonferenza della testa ridotta. Altri studi, segnala il Niehs degli Usa, hanno correlato il Pfos a possibili effetti cognitivi e di minore capacità a controllare il proprio comportamento da parte dei bambini a scuola, ma gli stessi risultati non sono invece emersi con il Pfoa. Emergerebbero comunque correlazioni con abilità cognitive, sviluppo psicomotorio, iperattività e calo di attenzione, anche se «non c’è prova evidente di quali sostanze causano questo e neppure in quali “finestre” dello sviluppo agiscono. Servono studi». Emergono interferenze anche con gli ormoni, come dimostrato dal prof. Carlo Foresta per il testosterone. E ci sono studi che suggeriscono che la presenza di Pfas nell’organismo nei primi anni di vita può indurre all’obesità (già a otto anni di età) e al diabete di tipo2: servono conferme. Ad Harvard hanno trovato che i Pfas nel sangue sono legati a tassi metabolici bassi a riposo: significa che si bruciano meno calorie e si fa più difficoltà a restare magri. E ci sono studi preoccupanti, dice Birnbaum, secondo cui i Pfas alterano il lavoro della tiroide che regola il metabolismo e la crescita. COSA FARE. Non ci sono solo Pfos e Pfoa. Il Niehs ha vinto un finanziamento (anche per studiare tecniche di riduzione dei Pfas dai siti inquinati) e sta studiano gli alti livelli di GenX (un Pfas a catena corta, come noto): l’utilizzo di filtri a carboni attivi per l’acqua potabile funziona, ma si stanno studiando eventuali effetti su placenta, sistema immunitario, fegato e altro. Gli scienziati hanno visto che il Pfas a catena corta rimane nel sangue meno a lungo di quello a catena lunga, ma non significa che ci sia tossicità minore: per questo si stanno esaminando il siero ma anche le urine, il plasma e il sangue intero. E soprattutto, avverte Birnbaum, bisogna misurare che effetto può avere anche la “miscela” di diversi Pfas. È quello che sostiene anche il maxi-gruppo di scienziati di Zurigo: serve, scrivono, un coordinamento nella ricerca mondiale. Che dia risposte scientifiche alla politica che fa le leggi, che guidi i consumatori a volere “etichette” che indichino i Pfas, e che spinga a «transizioni a un uso di altre sostanze più sicure». L’industria - chiude Birnbaum - sta iniziando a produrre sostanze alternative prive di Pfas ad esempio in aeroporti come Londra e quelli svedesi. Si può fare. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Piero Erle

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