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Nei territori della zona rossa

Pfas nei bovini da carne, nelle uova e nei pomodori: i dati regionali lo confermano

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Laboratorio analisi dell'Arpav
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A Cologna su 25 analisi relativi ai bovini da carne, 10 hanno fatto emergere la presenza di Pfas. E lo stesso è avvenuto per quanto riguarda otto degli 11 campioni riguardanti uova e per due su tre di quelli inerenti pomodori. Per restare nel Colognese, la stessa situazione si è verificata in otto casi su 20 per i bovini, in sette su otto per le uova ed in uno su tre per i suini ad Albaredo. A Zimella: in cinque casi su 15 per i bovini ed uno su uno per le albicocche. A Roveredo: in cinque su 13 per i bovini ed uno su due per quanto riguarda tacchini e suini. A Veronella: in cinque su 15 per i bovini e uno su due per le ciliegie. A Pressana: in quattro su 10 ed in uno su 3 per le uova.

Questo emerge dai campionamenti effettuati dalla Regione sugli alimenti prodotti nella zona rossa Pfas fra il 2016 ed il 2017. Analisi i cui risultati erano stati tenuti secretati dalla Regione e che sono stati comunicati solo negli ultimi mesi alle Mamme no Pfas ed a Greenpeace, in seguito ad una sentenza del Tar. Ieri, dopo che a settembre avevano fornito una prima sintesi che non aveva mancato di provocare reazioni, le attiviste e l’associazione ambientalista hanno deciso di pubblicare i rilevamenti.

Emerge così che la contaminazione ha interessato varie matrici alimentari, di origine sia vegetale che animale. Se nell’area della nostra provincia che è più direttamente interessata dall’inquinamento i dati sono degni di attenzione-in particolare a Cologna, Pressana, Roveredo e Zimella, Comuni che si trovano direttamente sopra la falda acquifera contaminata-la situazione non appare molto migliore quando ci si sposta più lontano dalla fonte della contaminazione. Fonte che, quantomeno secondo le tesi accusatorie sulle quali si basa il più importante processo per inquinamenti di questo genere mai avviato in Italia, che è in corso in tribunale a Vicenza, è da identificare con la fabbrica chimica Miteni spa di Trissino.

Anche nei Comuni che sono stati inseriti nella zona rossa, quella maggiormente esposta alla contaminazione, solo a causa del fatto che sono serviti dall’acquedotto che pesca nella falda contaminata, ci sono presenze di alimenti con Pfas degne di nota. Legnago, ad esempio, mostra quattro campioni su sei di bovini positivi, oltre che tre su sei di suini, due su cinque di polli e presenze in lattuga, patate e fagiolini. Ad Arcole ci sono due casi su quattro nei bovini e due su cinque nei piselli. A Terrazzo: uno su tre nelle albicocche. A Bonavigo: sei su 16 nei bovini, uno su due nei suini, uno su uno nella lattuga ed uno su tre nel mais. A Bevilacqua: 15 su 17 nelle uova e due su quattro nei bovini. A Minerbe: cinque su sette nei bovini, uno su quattro nei polli ed uno su uno nei fagiolini.

«Sono presenti non solo Pfos e Pfoa, le sostanze perfluoro-alchiliche di più vecchia produzione che sono le uniche oggetto di indagini rese pubbliche dall’Istituto superiore di sanità, ma anche altre molecole, comprese quelle di più recente utilizzo, che sono anch’esse pericolose per la salute», affermano Mamme e Greenpeace. Le quali fanno riferimento agli studi scientifici secondo i quali i Pfas sono correlabili ad una lunga serie di patologie, tutte piuttosto gravi. «È paradossale che la Regione continui a trincerarsi dietro ad un silenzio assordante», aggiungono. «Le popolazioni che da decenni convivono con livelli allarmanti di sostanze chimiche hanno il diritto di sapere a cosa vanno incontro mangiando gli alimenti provenienti dalla zona rossa e lo stesso discorso vale anche per tutte le altre persone, italiane e straniere, che possono consumare decine di alimenti con elevati livelli di Pfas per colpa dell’inerzia istituzionale».

«Il presidente Zaia non interviene e questa è una mancanza inaccettabile», attaccano gli attivisti. Secondo i quali «dall’analisi dei dati sono emersi numerosi aspetti poco chiari legati, tra l’altro, all’assenza di alcuni alimenti tra le matrici analizzate (ad esempio meloni, angurie, mele e altri vegetali a foglia larga) e alla poca chiarezza sui criteri geografici che hanno guidato la scelta dei campioni da analizzare». «A ciò si aggiunge la consegna parziale dei risultati da parte della Regione, visto che a fronte di 1.248 alimenti analizzati, sono stati forniti solo gli esiti delle indagini effettuate su 908, con solo pochi dati riferiti al pescato», continuano i gruppi di mamme no Pfas ed ambientalisti che annunciano una nuova istanza di accesso agli atti per ottenere gli esiti che, a loro dire, sono mancanti.

Luca Fiorin

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