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«Pfas nei fanghi Il monitoraggio va esteso al Veneto»

I vertici della commissione: Villanova, Brusco e Montagnoli
I vertici della commissione: Villanova, Brusco e Montagnoli
I vertici della commissione: Villanova, Brusco e Montagnoli
I vertici della commissione: Villanova, Brusco e Montagnoli

Cristina Giacomuzzo INVIATA A VENEZIA «Biomonitoraggio? Serve farlo in tutto il Veneto. L’acqua è sicuramente il primo veicolo di contaminazione da Pfas. Ma ci sono altre fonti indirette che si stanno dimostrando rischiose come i percolati delle discariche e i fanghi che sono stati sparsi nelle campagne. La situazione è grave e la Regione, al di là della polemica con il Governo centrale, deve muoversi in modo veloce ed efficace». Manuel Brusco, M5s, ne è convinto. Lui è a capo della Commissione d’inchiesta regionale sui Pfas che ha chiuso il primo ciclo di audizioni sentendo praticamente tutti i soggetti coinvolti: dai lavoratori ai vertici della ditta Miteni, dai Comitati di famiglie dei contaminati ai medici. «Entro gennaio saremo in grado di depositare una relazione. La mia intenzione - precisa il grillino - è quella di proporre ai componenti della Commissione anche una mozione da portare in Consiglio per chiedere alla Regione di fare un ulteriore sforzo su diversi aspetti. Primo. Serve garantire acque pulite. Secondo. Proporrò la chiusura e lo spostamento della Miteni di Trissino se risulterà che, sotto l’impianto produttivo, ci sia materiale inquinato. Terzo: il monitoraggio va intensificato allargando lo screening. Quarto: è importante dare la possibilità alla popolazione esposta di pulire il suo sangue da quelle sostanze e in fretta. Come? Plasmaferesi sì o no? Gli esperti ci devono dire come. In ogni caso sono convinto che sia meglio quella tecnica proposta dalla Regione (plasmaferesi o scambio ematico) piuttosto che non fare nulla». SEGNALI E VOTO. È stato sempre Brusco a sollecitare il Consiglio, nei giorni scorsi, ad approvare un emendamento in cui si impegna la giunta ad allargare la sorveglianza sanitaria alla cosiddetta “zona arancione” stanziando 2 milioni di euro. In aula si è assistito ad una bagarre politica-tecnica, ma alla fine la proposta, formalmente ripresentata dalla Giunta, è stata votata all’unanimità. «In realtà - attacca Brusco - proprio la Giunta poteva intervenire autonomamente. In ogni caso, per me era necessario dare questo segnale visto che da tempo sento l’assessore Coletto annunciare questo allargamento dello screening, ma non ho visto ancora nulla di concreto. Servono azioni importanti nel Veronese, Padovano e Vicentino. E andare oltre la “zona rossa” che è stata definita sotto il solo aspetto acquedottistico. Forse, alla luce degli altri fattori di rischio che stanno emergendo, va ampliata l’area del biomonitoraggio». MONITORAGGIO: CONFINI DA DEFINIRE. Quindi quali sono i Comuni dove si effettuerà il nuovo screening? Nella mappa dell’inquinamento ribadita anche negli atti ufficiali della Regione, della “zona arancione” fanno parte praticamente solo Comuni del Vicentino, tra cui parte dello stesso capoluogo. In una seconda versione della mappa è, invece, segnato tutta la città di Vicenza. E dunque? Sicuramente solo una parte di Vicenza e Montecchio Maggiore. Per il resto Coletto alza le mani: «Non aggiungo altro perché stiamo verificando con i tecnici il perimetro entro cui muoverci. La delibera sarà pronta entro fine gennaio». TUBI ANTI PFAS. Da segnalare infine che sempre nel Collegato alla legge di stabilità è stato approvato un emendamento da 3 milioni destinati in parte al Collettore del Garda e in parte al co-finanziamento per i nuovi tubi anti-Pfas che consentiranno di sbloccare gli 80 milioni annunciati da tempo dal Governo. È critica la consigliera vicentina Cristina Guarda (Amp): «Non è sufficiente prevedere appena 1,5 milioni. Con emendamenti chiedevo di alzare il contributo, ma sono stati tutti bocciati». •

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