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Pfas, la Regione controlla tutti gli alimenti in Veneto

La recente manifestazione delle “Mamme No Pfas” a Venezia
La recente manifestazione delle “Mamme No Pfas” a Venezia
La recente manifestazione delle “Mamme No Pfas” a Venezia
La recente manifestazione delle “Mamme No Pfas” a Venezia

La sorpresa sta in quel numero che non ti aspetti e fa sobbalzare. Era passato inosservato, tra i tanti del rapporto dell’Iss-Istituto superiore di sanità divulgato da Venezia a luglio: nei bambini di tutto il Nordest, non solo dell’area rossa, arriva dentro il corpo una “dose settimanale” di Pfoa che va oltre quella “tollerabile” (si chiama Twi) che l’autorità europea per la sicurezza alimentare Efsa ha molto abbassato un anno fa. Entra un po’ troppo Pfoa nei bimbi da 3 a 10 anni: il 20% in più del limite. Tutti. La delibera ora varata dalla Regione, dopo aver valutato in questi mesi lo studio Iss, lo dice così: «L’evidenza di una situazione “baseline” relativa a tutta la popolazione del Nord-Est, in base alla quale l’esposizione media per via alimentare a Pfoa nel caso dei bambini risulta 1,2 volte il valore Twi Efsa 2018, induce ad una riflessione sulla necessità di acquisire ulteriori dati relativamente al livello di Pfas negli alimenti presenti sul mercato, che riguarda la popolazione generale del territorio regionale». Insomma, ancora una volta la Regione accende un riflettore sul tema Pfas senza che altri l’abbiano fatto. E certo colpisce che l’Iss precisi nello studio che questo dato dei “bimbi del Nordest” è calcolato con «l’uso dei dati di concentrazione europei». Insomma, è un dato comune a tutta Europa, ma per ora se ne occupa solo il Veneto. LO STUDIO GENERALE. La Regione quindi, «alla luce delle considerazioni dell’Iss», decide di aprire un nuovo fronte. Occorre «acquisire i dati relativi al livello di presenza di sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti presenti sul mercato attraverso un “Piano di monitoraggio regionale di Pfas sugli alimenti e sui materiali a contatto presenti sul mercato”». Serve un anno e ci lavorerà l’Iss: il piano è esteso a tutto il Veneto e prevede «il campionamento e l’analisi di alimenti (sia veneti sia extra-regione) rinvenibili sul mercato che contribuiscono alla dieta tipica della popolazione del Nord-Est per le diverse fasce d’età». Le Ulss analizzeranno campioni di vegetali e di carni, ma spunta chiaro l’altro tema: «è opportuno procedere alla ricerca di Pfas anche sui materiali a contatto con alimenti», come ha raccomandato a maggio la stessa Ue. E in effetti una ricerca appena pubblicata su “Environmental health perspectives” ha appena certificato che chi mangia più cibi confezionati e “fast food” (ad esempio i popcorn, magari scaldati a microonde) ha livelli di Pfas più alti di chi si prepara i pasti in casa. DUE FRONTI. Insomma, il nuovo fronte per i Pfas è quello dei “materiali a contatto con gli alimenti”. Specie, scrive la Regione «imballaggi di carta o cartone con rivestimenti idro o lipo repellenti» (attenzione: da luglio la legge li limiterà). «Con la delibera - spiega l’assessore Manuela Lanzarin - diamo il via a due campionamenti. Uno è quello su tutto il Veneto, con Iss e Arpav, sui prodotti già confezionati. L’altro invece è sulle aziende delle zone rossa e arancione, in particolare quelle che allevano animali per vendere poi carne e uova. Come noto, in quell’area abbiamo già bloccato da tempo la pesca. Facciamo questo nell’ottica di avere una campionatura più ampia possibile e capire con Efsa, tramite il Ministero della salute, che risultati emergono. Siamo l’unica Regione che si continua a muovere e che ha portato alla ribalta il tema. Facciamo un’analisi a tutto campo, non certo per creare allarmismi ma invece per dare informazioni corrette nella direzione della prevenzione e della tutela». Non solo: la Regione chiede aiuto al Cnr per studiare il bio-accumulo del C6o4 (Pfas a catena più corta), visto che è stato trovato nel sangue dei lavoratori Miteni («per i quali c’è la presa in carico», sottolinea Lanzarin), anche se «non esistono per ora limiti per i Pfas a catena corta». Il tema evidente da analizzare infatti adesso è anche l’effetto dell’accumulo di più Pfas diversi nel sangue. «Siamo l’unica Regione ad aver imposto limiti per quelli a catena lunga. E ora spingiamo per lo studio dei Pfas nel sangue e dei tempi di rilascio da parte del corpo, anche in base alle fasce d’età. Grazie a noi si muove qualcosa anche a livello nazionale». Chiesto a Iss, infine, un parere su limiti per i Pfas da imporre alle acque d’irrigazione. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Piero Erle

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