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Pfas, in zona rossa manderanno autobotti

Autobotti al lavoro in una zona con problemi di acqua da bere
Autobotti al lavoro in una zona con problemi di acqua da bere
Autobotti al lavoro in una zona con problemi di acqua da bere
Autobotti al lavoro in una zona con problemi di acqua da bere

«Credo che questo incontro sia andato bene». Dicono molto, le prime parole con cui la portavoce Michela Piccoli sintetizza i risultati del faccia-a-faccia che c’è stato ieri a palazzo Balbi tra il comitato “Mamme no Pfas genitori attivi zona rossa” e i vertici della Regione. I genitori hanno potuto confrontarsi a lungo con il governatore Luca Zaia, gli assessori Luca Coletto (sanità) e Gianpaolo Bottacin (ambiente), il direttore della sanità Domenico Mantoan, quello dell’ambiente-territorio Alessandro Benassi e la dirigente Francesca Russo della Sanità pubblica e prevenzione. «Abbiamo stabilito insieme quattro punti - spiega ancora la portavoce, che ha partecipato insieme a Dario Muraro, Giovanna dal Lago e altri, tra cui vari ragazzi con le magliette dove espongono stampato il valore molto alto di Pfas che è stato trovato nel loro sangue - e sono punti importanti per noi». Sono risposte, tra l’altro, ottenute anche rispetto a ben 34 domande specifiche che avevano inviato ala segreteria di Zaia nelle scorse settimane, sulle quali erano giunte le risposte della Regione poco prima dell’incontro.

«DATECI ACQUA A ZERO PFAS». Un primo tema urgente per i genitori è proprio quello dell’acqua che continuano a bere. Il limite per l’acqua potabile è infatti di 500 nanogrammi per litro, e le aziende di acquedotto risultano ora rispettarlo grazie all’uso dei filtri a carboni attivi, anche se i genitori sospettano che a tratti ci siano sforamenti dovuti all’usura dei filtri e in attesa che l’azienda di acquedotto faccia l’acquisto di filtri nuovi, con spese notevoli che vengono poi caricate in bolletta agli utenti. Ma i loro figli - hanno spiegato a Zaia e ai tecnici - si sono trovati da analisi recente ad avere a volte anche incrementato notevolmente il contenuto di Pfas nel loro sangue, rispetto ad analisi precedenti. E allora la richiesta è di avere acqua “zero pfas”, anche con soluzioni alternative. E una proposta ieri è passata: «Vogliamo ottenere acqua con le autobotti o attraverso le “casette dell’acqua” che distribuisca il liquido prelevato da fonti pulite, cioè a zero pfas: l’acqua sarà utilizzata e distribuita nei vari paesi per uso alimentare», vale a dire soltanto per essere bevuta o per utilizzarla per preparare altri alimenti. «Fra un mese ci daranno risposta per capire se questo è fattibile». «Non siamo noi i responsabili dell’acqua distribuita - spiega l’assessore Bottacin - ma i Comuni e i gestori degli acquedotti. Abbiamo accolto la richiesta e ci siamo resi disponibili per fare un passaggio con i gestori delle aziende in breve tempo, per dare disponibilità a questo intervento, che non è semplice perché riguarda migliaia di cittadini (in area rossa ci sono 21 Comuni, per 109 mila veneti in tutto) e quantificare l’intervento. La disponibilità c’è».

LA QUESTIONE ALIMENTI. Secondo punto che il comitato sottolinea: «Ci viene riferito che tra circa 4 anni potremmo avere risolto il problema: i progetti per le nuove forniture da acquedotti sono stati presentati a Roma, e attendiamo con grande speranza anche l’arrivo finanziamenti per riuscire ad avviare i lavori » (vedi articolo sotto). Oltre all’acqua del rubinetto, c’è un altro punto che sta a cuore dei residenti: gli alimenti che vengono prodotti nell’area contaminata da Pfas. «Le analisi - spiega la portavoce - sono ancora in corso, e tra ottobre e novembre dovrebbero arrivare le risposte». Va detto che su questo punto nel documento già inviato l’altro giorno da Zaia alle “Mamme no pfas” indica che «al momento l’Istituto superiore di sanità non ha segnalato criticità né proposto interventi».

«ABBASSARE I PFAS». Ma è il quarto «il punto più importante che ci sta a cuore - spiega Michela Piccoli - e che è il fulcro della giornata: l’impegno della Regione a ottenere l’abbassamento dei limiti dei Pfas nelle acque potabili, verosimilmente più vicini allo zero. Perché i nostri figli hanno valori molto superiori ai valori “range” normali, tra le 10 e le 30 volte più alti, e noi non possiamo utilizzare più acqua con pfas a 500 nanogrammi per litro. Il valore deve essere più vicino allo zero. Nel frattempo speriamo in queste autobotti e in queste casette dell’acqua». Venezia da parte sua ha scritto ai genitori di aver già presentato richiesta al Governo perché siano abbassati i limiti di Pfas nell’acqua potabile, visto che la Regione può sì abbassarli, ma nel momento in cui questi sono fissati. Come noto da Roma è stata indicazione alla Regione di quel valore di 500 nanogrammi per litro, e al momento però - ha spiegato il direttore Mantoan - il Ministero ritiene che quei limiti siano adeguati. La Regione comunque non molla la presa: il 23 agosto ha di nuovo inviato una lettera a Roma chiedendo la revisione di quei limiti».

L’AREA ROSSA. Dal carteggio e nel confronto di ieri emergono altri aspetti centrali per la vicenda Pfas. La stessa Regione infatti ha chiesto di rivedere il regolamento europeo Reach per «imporre il divieto totale di utilizzo di composti Pfas o quantomeno renderne obbligatoria l’indicazione in etichetta anche per quantità inferiori all’1%: è necessario per permettere di controllare e interrompere alla fonte il processo di diffusione di tali sostanze nell’ambiente». La Regione ha anche comunicato di aver «già registrato una progressiva riduzione delle concentrazioni di Pfas» allo scarico del consorzio Arica a Cologna Veneta: «Per tre delle sostanze si sono raggiunti i valori previsti per le acque potabili», anche se ci sono ricorsi in ballo contro i limiti imposti dalla Regione ad Arica. In area Miteni, dove la ditta sta sostenendo i costi di bonifica, «non vi sono evidenze» che in questo momento le norme ambientali non siano rispettate dall’azienda.

Piero Erle

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