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Nella zona rossa 128 contaminanti sorvegliati speciali

Il tavolo dei  relatori al convegno di Viveracqua ieri a Venezia
Il tavolo dei relatori al convegno di Viveracqua ieri a Venezia
Il tavolo dei  relatori al convegno di Viveracqua ieri a Venezia
Il tavolo dei relatori al convegno di Viveracqua ieri a Venezia

Cristina Giacomuzzo INVIATA A VENEZIA Si scrive Psa, cioè Piano sicurezza acqua, ma si legge bollino blu. Una sorta di certificazione sulla qualità di un sistema acquedottistico dalla fonte al rubinetto. Il primo Psa pilota del Veneto, tra i primissimi in Italia, è stato presentato ieri a Venezia, in un convegno organizzato dal Consorzio Viveracqua, in collaborazione con la Regione e il patrocinio dell’Iss, Istituto superiore di sanità. Questo Psa è stato realizzato per l’acquedotto di Madonna di Lonigo, quello cioè che coincide la zona rossa, quella maggiormente inquinata da Pfas. C’è voluto un anno e mezzo di lavoro per concretizzare il progetto che di fatto rivoluziona la gestione delle emergenze lavorando in prevenzione. In sintesi, sono state analizzate tutte le possibili fonti di pericolo e per ciascuna è stata valutata la possibilità di rischio. Quindi, sono state messe in campo tutte le contromisure adottabili per evitare il peggio. Un lavoro enorme, realizzato sotto l’egida dell’Iss, che ha visto confrontarsi super esperti di campi diversi e condividere giga e giga di materiale. Il risultato, il Psa dell’acquedotto di Lonigo, sta per essere approvato dal Ministero. Se ne dovranno poi fare tanti altri: per coprire l’intera rete del Veneto ne serviranno oltre 200. E dovranno essere indicativamente completati entro il 2025, o anche prima visto che la Regione nel 2017 ha imposto ai gestori di dotarsi di questi progetti che hanno l’obiettivo ambizioso di evitare che altri casi, come quello dei Pfas, possano ripetersi. E si è già all’opera. È stato definito il calendario per la formazione del personale che dovrà andare a realizzare i nuovi Psa: si partirà a settembre. IL FOCUS. Ogni Psa è a sè, è un abito sartoriale studiato appositamente per quel sistema acquedottistico. Quello presentato ieri per la zona rossa ha analizzato 316 pericoli di base (dalle effrazioni alle contaminazioni da sversamento) di cui 147 a potenziale rischio sanitario. Gli esperti hanno mappato anche le fonti di pressione per l’acquedotto (aree industriali o commerciali, siti contaminati, discariche) contandone ben 750 di cui 422 a potenziale rischio sanitario. A queste sono stati associati i potenziali contaminanti rinvenibili, ben 128. Per tutte queste situazioni nel Psa sono previste apposite azioni: dai monitoraggio alla predisposizione dei filtri. AREE DI SALVAGUARDIA. I futuri Psa dovranno poi prendere in considerazione anche le aree di salvaguardia delle fonti di prelievo di acqua potabile. Per legge spetta ai Consigli di bacino proporre alle Regioni l’individuazione dei punti da proteggere con provvedimenti urbanistici, per esempio vietando l’insediamento di attività produttive entro un determinato raggio. Ma di otto Consigli di bacino in Veneto, solo quello del Brenta ha realizzato lo studio che ha analizzato le 70 sorgenti e i 95 pozzi di competenza. Lo ha depositato in Regione lo scorso dicembre e da allora si è in attesa del via libera per rendere operative le misure di tutela. Quello degli strumenti normativi a disposizione per difendere tubi e pozzi è un punto delicato su cui gli esperti si sono confrontati in fase di redazione del primo Psa. La legge impone di evidenziare i rischi, ma non fornisce strumenti diretti per evitarli. Se non quelli appunto del Psa stesso, come i monitoraggi, o l’indicazione agli enti che autorizzano le attività produttive, Regione e Province, a intervenire nell’esame delle richieste. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Cristina Giacomuzzo

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