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L'intervista della domenica

Massimo Briaschi a 40 anni dal Mundial: «Esultai, Pablito era per me come un fratello»

Per un ragazzino di 14-15 anni che gioca nella squadra del paese potersi misurare con i coetanei del Vicenza calcio è una di quelle sfide che non capitano tutti i giorni, una occasione per mettersi in mostra.  A distanza di diversi decenni ho ancora vivo il ricordo di quanta ansia ed emozione mi accompagnarono prima di scendere in campo nel mitico Antistadio del Menti contro gli allievi del Vicenza, allenati da un grande maestro di calcio come Valentino Foscarini. Quella giornata rimane scolpita nella mia memoria perché più che una partita fu un incubo. L’avversario che avrei dovuto marcare arrivò sempre prima di me sul pallone, mi saltò sistematicamente con la solita finta e il dribbling secco, volò sulla fascia ad una velocità doppia della mia, fece suo di testa ogni cross piovuto dalle ali. Mortificante! Per consolarmi il mio allenatore mi confidò che quel ragazzino, che aveva solo qualche mese più di me, era il gioiellino della squadra allievi del Vicenza ed era pronto al salto in Primavera. 
Fu quella la prima volta che incrociai Massimo Briaschi, che in biancorosso era arrivato l’anno prima, dopo essersi messo in evidenza come bomber implacabile nelle file del Marte calcio. Fu il mister thienese Toni Bortoli a segnalarlo a Savoini, Giulio intuì immediatamente le doti del giovanotto di Lugo.

«Credo che per il mio cartellino - ricorda Massimo - il Vicenza investì 600 mila lire. Pur essendo ancora in età per giocare allievo fui ben presto promosso in Primavera, dove militavano i vari Piero Stivanello, Ruggero Gonzo e altri che poi giocarono in squadre professionistiche. Bruciai le tappe e appena diciottenne approdai in prima squadra, esordendo al Menti il 16 maggio 1976 nella gara vinta 2 a 1 con il Catanzaro, fu Ranieri a marcarmi e Cinesinho a darmi la prima maglia da titolare in serie B. L’anno dopo tornai nella Primavera, ma ci rimasi poco. Durante una delle settimanali partite del giovedì tra titolari e giovani, che oggi inspiegabilmente non si usa più fare, GB Fabbri avvicinò il mio mister, Giulio Savoini, e gli disse: “Il piccoletto da domani si allena con i grandi”. Due presenze nel torneo della promozione in serie A, e 8 nella stagione del secondo posto, durante la quale segnai il primo gol a Torino nel 2 a 2 contro i granata, era il 12 febbario 1978. Il primo ad abbracciarmi dopo che il mio piattone finì in rete fu Paolo Rossi».
 

Nell’anno della clamorosa quanto inattesa retrocessione del Real Vicenza in serie B, Massimo disputa 18 partite, ma l’unico gol lo firma nella gara di ritorno del primo turno di Coppa Uefa contro il Dukla Praga. Serata dolce e amara?
Vinsi il ballottaggio con Zanone per sostituire Rossi, che era stato massacrato nella gara di andata da tal Macela. Il Menti era gremito, entusiasmo alle stelle, pioggia torrenziale, al 14° riesco a liberarmi del difensore e spedire il pallone sotto l’incrocio. Delirio poi finì come tutti sappiamo, ma, nonostante l’autogol di Roselli, resto convinto che, se Callioni avesse segnato quel rigore, noi avremmo eliminato il Dukla.
 

Ma la carriera di Briaschi è solo agli inizi, dopo una parentesi a Cagliari, voluto da Gigi Riva, e il suo ritorno a casa, tu lasci definitivamente Vicenza dopo la discesa dei biancorossi in serie C: destinazione Genova in serie A...
Esperienza fantastica. Primo anno 8 reti e subito diventai il beniamino della curva del grifone. Lì sei calciatore sette giorni su sette e la rivalità con la Sampdoria, allora in blucerchiato giocavano Mancini e Vialli, è esasperata. Col Genoa ho disputato tre stagioni, segnando 29 reti. E’ stato mio l’ultimo gol subito da Zoff prima di chiudere la carriera.
 

Poi il passaggio alla Juve?
Nell’estate del 1984 ero con la Nazionale alle Olimpiadi di Los Angeles, alla fine sfiorammo la medaglia arrivando quarti, il Genoa voleva cedermi alla Lazio del presidente Chinaglia. Rifiutai il trasferimento e un ingaggio altissimo e l’operazione saltò. Rientrato in Italia, mentre ero in vacanza ad Ischia ricevetti una telefonata: era Boniperti che mi annunciava la volontà della Juve di inserirmi nella rosa a disposizione di mister Trapattoni. Ricordo che risposi al presidente bianconero che, se necessario, ero pronto a partire a piedi tanto era il mio entusiasmo di finire nella squadra per cui tifavo, anche se quella del cuore era e rimane il Vicenza. Il mio approdo in bianconero avvenne anche per merito di Giordano che esagerò nella richiesta di ingaggio, facendo saltare l’affare. A Torino ho giocato con una squadra stellare, in attacco facevo coppia con Paolo e poi “giravano intorno” campioni come Platini, Boniek, Tardelli, Cabrini e ad orchestrare il tutto dalla difesa c’era l’indimenticabile Scirea.
 

Il primo vero incontro con Boniperti?
Ricordo che prima di presentarmi in sede per firmare il contratto, su consiglio del direttore sportivo Francesco Morini, ero passato dal parrucchiere per accorciare i capelli. Ma non bastò, la prima cosa che mi disse fu di tornare dal barbiere, l’altra fu ricordarmi che alla Juve se si arriva secondi vuol dire che si è perso 
 

Che rapporto hai avuto con Trapattoni?
Fantastico. Ho avuto diversi grandi allenatori, lui era tatticamente sempre più avanti degli altri e conosceva ogni dettaglio di qualsiasi giocatore della squadra che andavi ad affrontare. Insuperabile poi nella gestione del gruppo
 

Esordio in bianconero con il botto?
Come no, incontrammo il Palermo per la Coppa Italia e segnai 3 gol, guadagnandomi subito i gradi di titolare.
 

A proposito di Platini, raccontami di quella volta che ti prestò la sua Ferrari.
Ero squalificato e decisi di andare a Monza ad assistere alla gara tra i brianzoli e il Vicenza, chiesi a Michel se mi prestava il suo bolide. Risposta affermativa. Peccato che quella domenica si abbattè tra Torino e la Lombardia una pioggia torrenziale e in autostrada non riuscii a superare i 60 km all’ora.
 

Tre stagioni in bianconero, uno scudetto, la Supercoppa Europea, la Coppa Campioni e l’Intercontinentale. Che ricordo hai della notte dell’Heysel?
Durante la semifinale con il Bordeux ci fu una entrata cattiva di Girard, una gran botta al ginocchio. Rimasi fermo un paio di settimane. Il giorno della finale il Trap mi chiese se me la sentivo di scendere in campo, gli risposi: “mister ma quando mi ricapita di disputare una finale di Coppa dei Campioni ?”. Pur di giocare mi sottoposi a 8 infiltrazioni. E poi è andata come tutti sapete, ma mi preme chiarire che noi giocatori abbiamo saputo la vera entità di quello che era accaduto solo al ritorno in albergo e poi che siamo andati sotto la curva dei tifosi con la Coppa solo perché così ci fu ordinato dai responsabili della sicurezza. Dopo quella partita dovetti operarmi al ginocchio per la rottura del crociato, quell’infortunio mi costò in parte la carriera, anche se rimasi altre due stagioni in bianconero. Nel frattempo la Juve aveva acquistato per l’attacco Laudrup e Serena, trovai poco spazio, decisi così di tornare al Genoa. Altre due stagioni, chiuse con il ritorno in A dei liguri, prima di accettare l’offerta del Prato in serie C. Le mie ultime due partite furono proprio contro il Vicenza. Prima al Menti nell’ultima di campionato vinta dai biancorossi e poi lo spareggio per la permanenza in categoria. A Ferrara non scesi in campo, vinse il Vicenza con i gol di Zamuner e Tacchi, l’amarezza per la retrocessione della squadra toscana fu mitigata dal fatto che coincideva con la salvezza del mio Vicenza. L’anno dopo, era il 1990, volai in Canada a giocare con i North York Rockets. Una esperienza bellissima, eravamo degli idoli, per le migliaia di italiani, buona parte juventini, che abitavano là. 
 

Massimo, la tua strada e quella di Paolo Rossi si sono incrociate due volte.
Io e Paolo abbiamo giocato assieme dal 1976 al ‘79 a Vicenza e poi tre campionati alla Juve. E’ stato un amico, non di quelli con cui ti vedi tutti i giorni, ma una persona, un giocatore che mi ha aiutato, prima di tutto, ad entrare con il piede giusto nello spogliatoio bianconero e qualche anno prima in quello del Menti. Fuori e dentro al campo un uomo corretto, leale, sempre sorridente e pronto a sdrammatizzare anche la situazione più difficile. Come attaccante è stato unico, non ho mai trovato altri bomber con un dribbling così micidiale, un opportunista favoloso, nato per fare gol, se passava una palla in area 8 volte su 10 c’era lui e arrivava prima, di poco, ma prima del difensore. E pensate che Paolo non era egoista, tutt’altro, ma era una calamita. Non ho mai capito se era il pallone che andava dove c’era lui o viceversa. Un privilegio aver potuto giocarci assieme. Mi manca.
 

Pensavi che avrebbe potuto diventare il re del Mundial ‘82?
Sinceramente no! Il merito va a Bearzot, che stravedeva per Paolo. Il Ct si attirò critiche esagerate e cattive perché decise prima di convocare Rossi, lasciando a casa il capocannoniere del campionato Pruzzo, e poi quando insistette a schierarlo dopo una serie di prestazioni all’inizio del mondiale assai deludenti. Ma alla fine, sappiamo bene chi ebbe ragione.
 

Domani cadono i 40 anni dalla vittoria in Spagna, ti ricordi dove eri quel giorno?
Come dimenticarlo, ero in vacanza a Forte dei Marmi assieme al difensore dell’Inter Bini, alla fine fui orgoglioso di poter dire che ero vicentino, come Pablito.
 

Massimo chiudiamo con due pronostici, chi vince il campionato e cosa consigli al Vicenza?
La Juve. La Signora deve tornare a vincere e Di Maria è una grandissimo acquisto. Bianconeri favoriti una incollatura più indietro Milan e poi Inter. Al Vicenza consiglio di resettare tutto e ripartire da zero. Balzaretti conosce il mercato e Baldini è un allenatore che farà molta strada. Ma i dirigenti, i giocatori e i tifosi non debbono dimenticare che quello di serie C, tra tutti i campionati, è il più complicato da vincere.

 

Luca Ancetti

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