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«Latte, frutta e verdura: non c’è rischio Pfas»

Da sinistra Dell’Acqua (Arpav), l’assessore Coletto,  Russo (Regione), Agrimi e Stacchini (Iss)
Da sinistra Dell’Acqua (Arpav), l’assessore Coletto, Russo (Regione), Agrimi e Stacchini (Iss)
Da sinistra Dell’Acqua (Arpav), l’assessore Coletto,  Russo (Regione), Agrimi e Stacchini (Iss)
Da sinistra Dell’Acqua (Arpav), l’assessore Coletto, Russo (Regione), Agrimi e Stacchini (Iss)

Cristina Giacomuzzo

INVIATA A VENEZIA

Oltre un anno di lavoro per analizzare con rigore scientifico 1200 matrici alimentari per 12 molecole di sostanze perfluoro-alchiliche a catena lunga e corta. E il risultato è blindato: «Frutta, verdura, carne e uova che provengono dalla “zona rossa” dei Pfas, allo stato attuale, non rappresentano un rischio per la sicurezza alimentare». Lo confermano i dati presentati ieri a palazzo Balbi sul monitoraggio degli alimenti predisposto dall’Iss, istituto superiore di sanità del Veneto, e realizzato in collaborazione con l’istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie e l’Arpav, coordinato dalla Regione Veneto. A fare gli onori di casa c’era l’assessore alla sanità, Luca Coletto.

SICUREZZA. Dal report emergono delle certezze. Uno. L’acqua si conferma il veicolo principale attraverso cui le sostanze tossiche contaminano l’uomo. Due. Ad oggi ciò che viene prodotto o allevato nella zona rossa non contiene concentrazioni di Pfas tali da essere pericolose. Paolo Stacchini, direttore del reparto per la sicurezza chimica degli alimenti dell’Iss, porta un esempio: «Un adulto di sessanta chili può mangiare anche tutti i giorni uova o fegato di suino, cioè i due alimenti che maggiormente “trattengono“ i Pfos (non i Pfoa), senza danno. Perché il cosiddetto Tdi (il limite di concentrazione giornaliera di assunzione entro il quale non si hanno conseguenze per la salute) per quelle matrici si aggira tra l’1-1,5 per cento. Significa che si può assumere ancora un altro 98% di Pfos da altre fonti di esposizione senza averne conseguenze. Anche perché quando si parla di Tdi si parla di un limite già cautelativo». Resta un punto che dovrà essere chiarito solo da future analisi: perché la concentrazione di Pfas nel sangue degli allevatori e agricoltori della zona rossa risulta il doppio rispetto agli esposti delle zone urbane? Il risultato del bio-monitoraggio poteva lasciar intendere che il cibo potesse essere una causa aggravante della contaminazione. Ora si sa solo che «per il presente c’è tranquillità», come conferma Umberto Agrimi, dirigente della Ricerca dell’Iss. Per il passato non è dato a sapere. A breve verranno richiamati per i prelievi, a distanza di due anni, allevatori e agricoltori: solo allora si potrà avere un quadro più chiaro. Un quadro che, intanto, ha un valore scientifico notevole e che fa salire in cattedra il Veneto tanto che l’Efsa, l’Agenzia per la sicurezza alimentare dell’Ue, userà il report come riferimento per la modifica dei parametri del Tdi attesi a breve.

LATTE, CARNE E UOVA. I super esperti hanno spiegato la complessa ricerca. Il primo passo è stata una sorta di pre-valutazione che ha portato a restringere il campo di azione. Sono stati esclusi da successive analisi, perché con valori Pfos e Pfoa inferiori a 0,5 nanogrammi-grammo, frutta e verdura: dall’asparago, alla cipolla, dalla lattuga alle patate passando per il pomodoro. Eliminati, per lo stesso motivo, il latte e la carne, cioè il “muscolo”, di animali avicoli e bovini. Sono stati approfonditi invece il fegato, organo di accumulo dei Pfas, suino, bovino e avicolo. In quei casi le concentrazioni sono risultate più rilevanti dello zero rintracciato nelle verdure, «ma nell’insieme non critiche». E vale anche per le uova. Da notare però come quelle da allevamento intensivo presentino concentrazioni pari a zero. In quelle di casa invece le percentuali sono maggiori per i Pfos (media: 22 ng/g). I ricercatori hanno poi “geolocalizzato“ le matrici. In un solo caso, un allevamento a conduzione familiare di suini di Lonigo, sono intervenuti obbligando al macello, vista la presenza di concentrazioni molto alte e potenzialmente pericolose. Questo perché l’animale è stato allevato con acqua di pozzo contaminato. Ai proprietari è stato imposto l’obbligo dell’allacciamento all’acquedotto. Poi, per le altre dieci molecole, diverse da Pfoa e Pfos, nei vegetali è stata riscontrata talvolta la presenza di Pfba con valori tra 0,1 e 1 ng/g. Questo Pfas a catena corta è più facilmente accumulabile dei Pfos, ma ha una “emivita“, durata di vita, molto più breve nell’organismo», spiegano i tecnici.

PESCI E SOLDI. È stato poi confermato il divieto di consumo dei pesci da cattura nella zona rossa per le elevate concentrazioni di Pfos (122,7ng/g). Vale per Carpa, Barbo, Siluro, Cavedano, Tinca. L’ordinanza è in vigore ed è stata firmata dal governatore Luca Zaia. Infine, Coletto ha annunciato che il ministero della Salute ha confermato un primo stanziamento di due milioni di euro a ristoro parziale dei costi già affrontati dalla Regione (oltre 5 milioni) per la parte sanitaria.

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