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La piena è più aggressiva: il Veneto rischia

A fianco le mappe elaborate nello studio del prof. Tarolli e dei suoi colleghi. Le prime due a sinistra, in alto e in basso, indicano come è stata l’edificazione e la impermeabilizzazione del Veneto negli ultimi 40 anni. Le mappe centrali (sempre sopra e sotto) indicano invece il cambiamento climatico, con i guai che si spostano dalla riviera marina verso la pianura pedemontana a est. Infine la novità: l’indice di aggressività delle piene, e una miriade di punti “caldi” che sono a rischio.
A fianco le mappe elaborate nello studio del prof. Tarolli e dei suoi colleghi. Le prime due a sinistra, in alto e in basso, indicano come è stata l’edificazione e la impermeabilizzazione del Veneto negli ultimi 40 anni. Le mappe centrali (sempre sopra e sotto) indicano invece il cambiamento climatico, con i guai che si spostano dalla riviera marina verso la pianura pedemontana a est. Infine la novità: l’indice di aggressività delle piene, e una miriade di punti “caldi” che sono a rischio.
A fianco le mappe elaborate nello studio del prof. Tarolli e dei suoi colleghi. Le prime due a sinistra, in alto e in basso, indicano come è stata l’edificazione e la impermeabilizzazione del Veneto negli ultimi 40 anni. Le mappe centrali (sempre sopra e sotto) indicano invece il cambiamento climatico, con i guai che si spostano dalla riviera marina verso la pianura pedemontana a est. Infine la novità: l’indice di aggressività delle piene, e una miriade di punti “caldi” che sono a rischio.
A fianco le mappe elaborate nello studio del prof. Tarolli e dei suoi colleghi. Le prime due a sinistra, in alto e in basso, indicano come è stata l’edificazione e la impermeabilizzazione del Veneto negli ultimi 40 anni. Le mappe centrali (sempre sopra e sotto) indicano invece il cambiamento climatico, con i guai che si spostano dalla riviera marina verso la pianura pedemontana a est. Infine la novità: l’indice di aggressività delle piene, e una miriade di punti “caldi” che sono a rischio.

Da una parte c’è la cementificazione del territorio veneto: la quantità di terra che è stata resa impermeabile alla pioggia e quindi “scarica” l’acqua altrove. Dall’altra ci sono i cambiamenti climatici, sempre più evidenti anche in Veneto: lunghi periodi di secco (vedi pag. 14) ed episodi di precipitazioni sempre più concentrate in poco tempo e sempre più localizzate. Fenomeni studiati molte volte. Ma c’è chi ha fatto di più: calcolare cosa comporta la somma dei due fattori per il rischio di allagamenti in Veneto. «Noi abbiamo combinato tre fattori diversi, e questo non era mai stato fatto», spiega il prof. Paolo Tarolli del Tesaf, dipartimento Territorio e sistemi agro-forestali dell’Università di Padova, che coi colleghi Giulia Sofia, Giulia Roder e Giancarlo Dalla Fontana ha visto pubblicare dalla rivista “Scientific Report” (gruppo Nature) il lavoro che ha analizzato un secolo di dati del Veneto, dal 1910 al 2010, sulle “Dinamiche delle inondazioni nel paesaggio urbanizzato”.

IL NUOVO INDICE. Il lavoro ha messo assieme i dati sulla impermeabilizzazione del territorio veneto, calcolando un “indice di urbanizzazione”, e anche quelli sui mutamenti che sono avvenuti nel clima (grazie a dati di Magistrato alle acque, Arpav, Cnr e altre fonti, anche aggiornati dal Tesaf), calcolando quindi un “indice di aggressività climatica” per la crescente intensità delle piogge: in questo caso ad esempio si è calcolato che nei decenni la concentrazione di pioggia è cresciuta di poco meno del 10%. «Fin qui - avverte Tarolli - nulla di nuovo rispetto a molti altri studi. Ma quello che abbiamo introdotto è un nuovo calcolo, quello dell’“indice di aggressività” di piena, o di inondazione. Significa individuare quanti quartieri, aree urbane, vengono interessate da un’inondazione rispetto al passato». E a colpire è che nonostante ci sia un calo del numero di giorni di pioggia, la presenza nei decenni di sempre più aree urbanizzate e la concentrazione della pioggia in pochi giorni ha moltiplicato il numero di zone del Veneto che sono state ferite o che rischiano di essere ferite da una piena-inondazione.

LE MAPPE DEL VENETO. Ne sono nate, spiega Tarolli, tre mappe (vedi sopra), suddivise per periodi storici: il ventennio 1970-1990 e quello 1990-2010. «Le prime due coppie di mappe sono quelle relative a urbanizzazione e piovosità, mentre le ultime due, divise per i due ventenni, sono relative all’aggressività delle piene. Cosa abbiamo dimostrato? È ovvio che se c’è un’estremizzazione degli eventi meteo, si va sotto acqua. E così pure, se c’è un’area estremamente urbanizzata il rischio è alto. Ma abbiamo dimostrato che la combinazione dei due fattori va a creare comunque un aumento di criticità in più zone. Ne emerge un territorio molto più vulnerabile del passato. Ed emerge che una gestione efficace e sostenibile del territorio si può fare solo con un approccio integrato: sì studi climatici, ma se voglio sviluppare il territorio, farlo crescere economicamente, devo studiare già le soluzioni che mitighino il problema».

IL RISCHIO SALE PROPRIO DOVE DOVREBBE ESSERCENE MENO. Oggi si parla di era “antropocene”: l’attività dell’uomo, i suoi gusti (benessere, mobilità, ecc.) vanno anche a cambiare geologicamente la stessa superficie terrestre. E allora a rischiare di più sono proprio le strutture urbanizzate, perché per incapacità della rete di scolo, per “soffocamento” dell’alveo dei fiumi e delle aree golenali, è lì che la concentrazione di piogge crea più rischi. I bacini di laminazione a monte? Vanno benissimo. Ma è già nella “progettualità” che il lavoro umano deve prevedere un sistema di drenaggio sostenibile, perché adesso poi il cambio di clima accelera i tempi di ritorno delle piene. E lo studio ad esempio dimostra, dalle stesse mappe, che se negli anni ’80 la cementificazione e le piogge portavano più problemi e rischi di inondazioni verso la costa veneta, negli anni Duemila il rischio si è moltiplicato e si è spostato verso la fascia pedemontana, soprattutto quella a est, perché anche sulle alture piove con intensità maggiore e il terreno molto costruito ai piedi dei monti rischia di finire sotto. «Il trend nel 1990-2010 - spiega lo studio - il trend indica un numero maggiore di eventi di inondazione, con una durata di tempo minore del passato»: a essere colpite sono sempre più aree, delimitate ma sparse sul territorio. Ed è il grande rischio con cui deve fare i conti il Veneto.

Piero Erle

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