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Marmolada

L'addio sotto la cima. Le famiglie dei sette vicentini morti attendono il nullaosta per i funerali

Ieri tanti vicentini e non solo sono tornati ai piedi della Marmolada
Ieri tanti vicentini e non solo sono tornati ai piedi della Marmolada
Ieri tanti vicentini e non solo sono tornati ai piedi della Marmolada
Ieri tanti vicentini e non solo sono tornati ai piedi della Marmolada

«Ho sempre pensato che questo fosse il paradiso»  commenta Massimo mentre sconsolato guarda verso quella maledetta parete di ghiaccio.  «E invece - scuote la testa il vicentino di Monticello Conte Otto dal rifugio Cima 11, alle pendici della grande montagna - per qualcuno è stato un inferno». 

Per gli alpinisti ieri la Marmolada è stata la casa del dolore, col riconoscimento di tutte le 11 vittime e la Messa dei vescovi a Canazei. L'amica montagna, ha tradito i suoi figli. Sono undici le vittime della tragedia di domenica scorsa. E sono sette i vicentini che hanno perso la vita facendo quello che più amavano: scalare la vetta. È il bilancio definitivo. Vicenza paga un tributo pesantissimo. I carabinieri del Ris in 48 ore hanno certificato quell'esito che tutti ormai attendevano e che se da una parte spazza via qualsiasi minuscola speranza dall'altra consegna ai parenti la possibilità di poter dare l'ultimo saluto ai propri cari. 

All'appello mancava il più giovane di tutti. Nicolò Zavatta, 22 anni, di Ponte di Mossano-Barbarano, studente che stava frequentando un corso di specializzazione post-diploma. Con lui se ne vanno Paolo Dani, 52 anni compiuti il 6 luglio mentre era dato per disperso, guida alpina valdagnese, originario di Brogliano, conosciutissimo in tutta la Valle dell'Agno, già responsabile della stazione del soccorso alpino di Recoaro-Valdagno dal 2013 al 2020, elicotterista e istruttore regionale del Soccorso alpino; Filippo Bari 27 anni, originario di Isola ma residente a Malo, padre di un bimbo di 4 anni; Tommaso Carollo, 48enne di Zanè, compagno di Alessandra De Camilli, 51 anni, architetto di Schio, ferita. E poi le due coppie: la guida alpina Davide Miotti, 51 anni, titolare del negozio "Su e giù Sport" di Tezze sul Brenta, e la moglie Erica Campagnaro, 45 anni, entrambi residenti a Cittadella, ed Emanuela Piran, 33 anni bassanese, con il compagno Gianmarco Gallina, 36 anni. Si aggiungono Liliana Bertoldi (l'unica trentina) e due alpinisti della Repubblica Ceca, Pavel Dana e Martin Ouda.

Sono i loro i nomi che resteranno per sempre impressi sulle pareti di quel massiccio tanto amato dagli alpinisti - e non solo - vicentini; un massiccio che d'ora in poi non potrà più essere visto con lo stesso sguardo. No, la Marmolada, la Regina delle Dolomiti, per tutti coloro che nella propria vita l'hanno ammirata sarà per sempre la montagna del ricordo e della commozione. Non è un caso che anche ieri tanti vicentini siano tornati vicino a quella Regina.

Non solo Massimo («Ero qui anche sabato scorso; pazzesco») ma anche tanti altri che si sono avvicinati alla Marmolada percorrendo la diga del lago di Fedaia, affollata come se non fosse accaduto nulla. Come se accedere al ghiacciaio - chiuso dopo il disastro - fosse consentito. E invece no. Molti sono lì per guardare («Varda come se vede ben») ma anche fotografare o addirittura fotografarsi con un selfie che non trova giustificazione. C'è chi si ferma a riflettere e chi, va detto, si unisce alla preghiera; si tratta di una famiglia di Roma con i quattro figli. «Vedete - dice il papà - lì è dove sono morte molte persone. Fermiamoci e recitiamo l'Ave Maria».

Ascoltando il silenzio che arriva dal piazzale dove erano parcheggiate le auto degli alpinisti che hanno perso la vita viene difficile darsi una spiegazione. Proverà a farlo la procura di Trento che ha aperto un fascicolo per disastro colposo e che potrebbe affidarsi a un pool di esperti consulenti per esaminare l'accaduto. Le ricerche nel frattempo proseguiranno anche oggi con tre squadre. Dopodiché si attenderà proprio dal procuratore il nullaosta per i funerali. Un'attesa che squarcia ancora di più l'animo delle famiglie ferito da un dolore incomprensibile.

E allora forse, per trovare una spiegazione, bisogna riprendere e riascoltare le parole di Andrea Bari pronunciate poche ore dopo la tragica scomparsa del fratello Filippo. «È andato via facendo quello che amava fare. E quindi non possiamo piangere». Perché, in effetti, se si dà un'occhiata a quelle immagini che i sette alpinisti vicentini hanno pubblicato nella propria vita su Facebook si trovano tanti elementi in comune: la montagna, ovviamente, ma soprattutto il sorriso. Sì, tutte le vittime che hanno perso la vita sotto quella maledetta valanga lassù stavano bene. Erano a casa. Amavano la montagna. E la montagna purtroppo li ha traditi. No, non sarà più la stessa Marmolada. 

Nicola Negrin

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