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Veneto

Cima Carega, dopo oltre cinquant'anni i gestori del rifugio Fraccaroli lasciano. «Non può essere un autogrill»

Carlo Baschera al rifugio Fraccaroli
Carlo Baschera al rifugio Fraccaroli
Carlo Baschera al rifugio Fraccaroli
Carlo Baschera al rifugio Fraccaroli

La famiglia Baschera ha lasciato dallo scorso fine settimana la gestione del Rifugio Fraccaroli a 2.230 metri sul livello del mare, 40 metri sotto Cima Carega: «Noi fratelli Baschera, non lo riapriremo più... Dopo 53 anni è giunta l'ora di cedere il passo ad altri», è stato il tono del post scritto sulla pagina Facebook del rifugio, accompagnato da poche righe: «Ci sentiamo in dovere di ringraziare tutte le persone che in questi anni sono passate a trovarci, condividendo con noi l'esperienza di questa montagna e di questo rifugio. Buona vita a tutti», è l’augurio conclusivo accompagnato da un cuore e dalla foto in bianco e nero di Carlo Baschera che a qualche centinaio di metri dal rifugio saluta l’edificio e i tanti amici.

In pochi giorni il post ha registrato 400 commenti, quasi 5mila visitatori che hanno lasciato il proprio emoticon e 340 condivisioni. Ma è stato un fulmine a ciel sereno o un addio programmato? «Era in ballo la scadenza del contratto con la sezione Cai Cesare Battisti, proprietaria dell’immobile: personalmente non me la sentivo più di impegnarmi per un’altra stagione e i miei fratelli hanno scelto di seguirmi in questa decisione», confessa Carlo Baschera, 50 anni, da 27 gestore del rifugio con i fratelli Giorgio, inizialmente a cui si sostituirà poi Gianni, la sorella Francesca e Tommaso. Prima di loro erano stati gestori per 26 anni i genitori Franco e Nella, per cui si può dire che i quasi 70 anni che il rifugio compirà fra due anni, siano stati per 53 affidati alle mani della stessa famiglia.

 

 

«Tutto inizia e tutto finisce, ma sono sereno perché capisco che è venuta meno l’energia e sono cessati anche certi stimoli, ma so di poter fare ancora dell’altro e quindi cambio aria», è il commento di Carlo. Nelle sue parole anche l’ammissione di una stanchezza che non è solo anagrafica: «Mi veniva tutto troppo scontato e ho capito di non essere più quello che volevo essere, anche se mi riconosco dinamico, intraprendente e alla ricerca di nuovi stimoli e quando un luogo e una professione cominciano ad andarmi stretti guardo alla possibilità di cambiare», confessa, aggiungendo: «Il tempo mi dirà se avrò fatto la scelta giusta o sbagliata».

Salito al Fraccaroli quando aveva solo un anno di vita, ha passato tutte le estati a un palmo dal cielo: «e 50 anni così non si dimenticano», ammette. Oltre al rammarico di un addio a un posto unico, c’è anche lo sguardo disincantato di chi ha visto il cambiamento delle presenze alpinistiche in questi ultimi decenni: «Se una volta bastava un camerone condiviso e un piatto di minestrone con una bottiglia di birra, oggi la gente sale in montagna e si aspetta un ristorante, arriva a tutte le ore e pretende di trovare aperto. Una volta alle 22 calava il silenzio in rifugio, oggi ci sono le escursioni notturne per vedere il cielo stellato o la luna piena e poi le alzatacce alle 5 per vedere l’alba e i gestori dovrebbero essere sempre disponibili, di notte e di giorno, ma io non reggevo più questi ritmi, mi toglievano anche l’aria da respirare. Capisco di andare controcorrente, ma il rifugio non può trasformarsi in autogrill e tanti non lo capiscono».

Sono cambiati gli escursionisti, ma la struttura è rimasta la stessa: «Dagli anni Ottanta non ci sono più stati interventi strutturali importanti, sebbene le esigenze siano cambiate. Certo ci sono stati il nuovo impianto idraulico, i pannelli solari, la nuova teleferica, ma la struttura è rimasta com’era. Non abbiamo mai avuto un bagno riservato ai gestori e la mattina ci dovevamo mettere in coda con la ventina di ospiti per usufruire della toilette. Per una doccia con acqua calda abbiamo dovuto attrezzarci per conto nostro e sono cadute nel vuoto le richieste di poter chiudere la terrazza creando una veranda e ampliando i posti a sedere per i pasti. Il luogo è bello e lascia incantati, ma la struttura è ferma e meriterebbe più attenzione. Non ce ne siamo andati per questo», conclude Carlo Baschera, «ma certo non ci ha aiutato a trovare nuovi stimoli».

 

 

Vittorio Zambaldo

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