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Acquedotti anti-Pfas
Il Ministero chiede carte
e contributi dalle bollette

La  mappa dei piani inviati dalla Regione per portare acqua pulita dai Pfas alla centrale di Lonigo
La mappa dei piani inviati dalla Regione per portare acqua pulita dai Pfas alla centrale di Lonigo
La  mappa dei piani inviati dalla Regione per portare acqua pulita dai Pfas alla centrale di Lonigo
La mappa dei piani inviati dalla Regione per portare acqua pulita dai Pfas alla centrale di Lonigo

Cristina Giacomuzzo

VENEZIA

L'importante è il Regio decreto del 1933. Per il nuovo acquedotto c'è tempo, tanto i Pfas non sono un'emergenza. In cinque paginette il Ministero dell’Ambiente scrive alla Regione e fa diventare miraggio i famosi 80 milioni di euro. Quelli che, per capirci, si attendono da mesi per realizzare i nuovi acquedotti e dare acqua senza Pfas ai veneti della “zona rossa”, evitando di ricorrere ai filtri. Ebbene, nonostante le dichiarazioni del ministro che li davano per imminenti, sono sempre più lontani. Non solo. Fanno sapere che quel finanziamento sarà erogato solo se co-finanziato dalla tariffa, cioè con le bollette che pagheranno i veneti. Contaminati e pure gabbati? A guardarla dalla parte di chi si ritrova incolpevolmente concentrazioni da paura di Pfas nel sangue, sembrerebbe proprio di sì.

PER UN PEZZO DI TUBO. È stata spedita mercoledì, dalla Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque del ministero dell’Ambiente, la lettera che smonta ogni emergenza. Si legge: «Tra gli interventi proposti da Veneto Acque, solo alcuni appaiono idonei a risolvere strutturalmente i problemi di approvvigionamento nelle aree inquinate da Pfas con un investimento di 87,6 milioni di euro, a fronte dei 200 stimati inizialmente». E cioè tre opere: «i collegamenti tra Piazzola sul Brenta e Madonna di Lonigo; tra Monselice e Ponso; e tra Madonna di Lonigo e il campo pozzi di Belfiore». Questa non è una novità: più volte palazzo Balbi aveva confermato le stesse priorità. Il Ministero dice però che, così come proposta, la richiesta di finanziamento non va. «È del tutto evidente - continua la nota - che il livello di dettaglio progettuale atteso per proposte di tale importanza, anche finanziaria, debba essere di livello superiore rispetto a quello presentato nella relazione tecnico finanziaria di Veneto Acqua. La Direzione Generale ritiene che tale documentazione non sia sufficiente per consentire un’adeguata valutazione tecnica ed economica del progetto e dell’idoneità delle soluzioni adottate e chiede, pertanto, che sia integrata con elaborati abitualmente previsti per un livello progettuale preliminare». Tradotto: mancano disegni più specifici e carte da bollo mentre «la concessione di derivazione di cui al Regio Decreto 1775/1933» è stata rilasciata appena qualche giorno fa. Servono progetti che costano e chissà che tempi per realizzare tutto questo.

BOLLETTE PIÙ SALATE. Al danno poi si aggiunge la beffa. Il ministero chiede come condizione per ottenere gli 80 milioni di euro promessi, un co-finanziamento derivante da un piano tariffario su cui si spalmi parte del residuo tra quanto concesso dal Governo e il costo complessivo dell’opera. Questo perché «si tratta di interventi nel settore del servizio idrico integrato e, come tali, non riconducibili ad “aiuto di Stato”». La Direzione quindi nella lettera chiede «i documenti economico-finanziari e il piano tariffario di ogni Ambito interessato». Non è chiaro se in riferimento al progetto da 200 milioni o alle sole tre opere, per cui non si sa se si dovranno fare i conti per tassare i veneti per i 120 o i 7 milioni mancanti. Al di là del particolare non da poco, è come dire che l’inquinamento da Pfas è emergenza solo per le mamme di quei bimbi super esposti e che si stanno dannando per capire come togliere loro dal sangue quelle maledette sostanze. È emergenza solo per i gestori del servizio idrico del Vicentino, Padovano e Veronese che stanno spendendo cifre importanti per cambiare filtri a go-go e garantire acqua non inquinata. É emergenza solo in Regione, dove stanno compiendo sforzi importanti per scrivere pagine di letteratura internazionale su come affrontare gli effetti sull’uomo della contaminazione per queste sostanze tossiche. Eppure, il governatore Luca Zaia aveva inviato una richiesta allo Stato per ottenere la dichiarazione di stato di calamità, come era successo per l’alluvione del 2010. Questo consentirebbe ad un commissario di bypassare tutta la burocrazia, che adesso il ministero chiede come procedura ordinaria, e di ottenere subito i soldi per finanziare le opere prioritarie che servono a fornire acqua sicura. Ma a quella richiesta non c’è stata risposta. Non c’è fretta. L’emergenza è solo qui.

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