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La tragedia di San Pietro in Gu

A 6 anni affogò in piscina: il pm chiede il processo per i genitori e tre vicentini

A otto mesi dalla tragedia avvenuta nell'impianto Conca Verde di San Pietro in Gu (Padova), il caso arriverà davanti al gup padovano Maria Luisa Materia che, il prossimo 16 maggio, dovrà pronunciarsi sulla richiesta di spedire a processo due operatori e la legale rappresentante della struttura e i genitori del piccolo Christian Menin, 6 anni appena, originario di Limena (Padova), annegato in piscina durante quella che avrebbe dovuto essere soltanto una calda e spensierata giornata di vacanza. Il pm Roberto D'Angelo ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti della responsabile di Conca Verde Michela Campana, 42 anni, e del compagno Diego Poletto, 44, direttore-coordinatore degli assistenti bagnanti, entrambi residenti a Bassano del Grappa, e dell'assistente bagnante Maya Serraglio, 23 anni di Bressanvido, difesi dall'avvocato Leonardo Maran; oltre ai genitori del bimbo Emanuele Menin, 32enne, e Lisa Toniato, 27 di Limena (avvocato Lorenza Denaro). Per tutti l'accusa è di omicidio colposo.

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La tragedia È il 9 agosto scorso intorno alle 12.45 e la piscina centrale dell'impianto (di proprietà comunale e dato in concessione a una società privata) è quasi vuota perché un quarto d'ora prima, come ogni giorno, sono chiusi gli scivoli per la pausa pranzo. Improvvisamente alcuni ospiti notano un corpicino galleggiare a pancia in giù dove l'acqua è profonda un metro e 20 centimetri. E danno l'allarme. Forse lo nota anche la bagnina ma le versioni sono diverse e il punto sarà al centro della discussione in udienza. Maya Serraglio si tuffa per recuperare il piccolo e, attirato dalle grida, arriva Poletto. Intanto Campana, subito avvertita, contatta il Suem che arriva pure con un elicottero. Gli operatori tentano le manovre rianimatorie, poi caricano Christian a bordo del velivolo. Tutto inutile: il piccolo morirà in ospedale a Padova intorno alle 14.20.

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Le contestazioni Secondo la procura tutti e cinque gli imputati avrebbero concorso in modo diverso nel reato di omicidio colposo. Campana non avrebbe predisposto adeguati presidi di assistenza e di salvataggio nella struttura; Poletto non avrebbe provveduto a organizzare un idoneo servizio di tutela e di assistenza degli utenti e non sarebbe neppure intervenuto con tempestività dopo l'immersione del bimbo; la bagnina Serraglio non avrebbe prestato la dovuta attenzione alla vasca centrale, alla cui sorveglianza era addetta, e sarebbe arrivata alcuni minuti dopo l'annegamento del piccolo; quanto ai genitori è contestata una mancata vigilanza nei confronti del figlio minorenne che non avrebbe dovuto mai essere perso di vista. I genitori avevano dichiarato: «Mai nostro figlio si sarebbe tuffato sapendo di non essere in grado di nuotare. Abbiamo paura che qualcuno lo abbia spinto o che possa essere scivolato». Tuttavia un dettaglio ha convinto la procura a ritenere che il bambino abbia fatto tutto da solo, escludendo una spinta o una caduta accidentale: quando è stato recuperato, Christian era privo di braccioli e salvagente ma indossava la cuffia. In quella afosa giornata il bimbo, attirato dall'acqua, potrebbe aver sceso la scaletta della vasca centrale da solo forse per giocare, salvo poi trovarsi, all'improvviso, lontano da qualsiasi appiglio, nell'acqua più profonda senza alcun punto d'appoggio.

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