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Italia

Il giallo del delitto di via Poma: dopo 32 anni si riapre il caso

Un'immagine d'archivio di Simonetta Cesaroni (Foto Ansa)
Un'immagine d'archivio di Simonetta Cesaroni (Foto Ansa)
Un'immagine d'archivio di Simonetta Cesaroni (Foto Ansa)
Un'immagine d'archivio di Simonetta Cesaroni (Foto Ansa)

Nuove verifiche e accertamenti, nuove audizioni per arrivare, dopo 32 anni, ad una verità. Si riapre il caso di Simonetta Cesaroni, uccisa con 29 coltellate il 7 agosto del 1990 in via Poma a Roma. Da alcuni giorni, infatti, i pm di piazzale Clodio avrebbero avviato un nuovo procedimento ascoltando una serie di testimoni, tra cui l’allora dirigente della Squadra Mobile, Antonio Del Greco. Tra gli inquirenti la cautela è massima ma secondo quanto scrive il quotidiano Il Foglio le nuove indagini riguarderebbero un sospettato che già all’epoca dei fatti finì nel mirino degli investigatori. Il suo alibi, a distanza di oltre trent’anni, potrebbe essere smentito da nuovi elementi che verranno raccolti dai magistrati per cercare di dare una identità a chi quel pomeriggio si accanì sul corpo di Simonetta. I legali della famiglia Cesaroni al momento non commentano il nuovo sviluppo giudiziario mentre dal canto suo l’avvocato Paolo Loria, difensore di Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni e assolto in via definitiva dall’accusa di omicidio, non nasconde la sua «soddisfazione». «Forse si arriverà al bandolo di questa matassa - afferma - e si riuscirà a trovare il vero colpevole e liberare dal sospetto, che dura da 30 anni, una serie di personaggi assolutamente innocenti. Sento periodicamente Busco, sta superando lentamente questo trauma», aggiunge il penalista.

Sull’omicidio della ventenne romana la parola fine sembra essere arrivata nel febbraio del 2014 con la decisione della Cassazione che confermò l’assoluzione dell’ex fidanzato. Contro di lui non furono trovate prove in grado di accusarlo «oltre ogni ragionevole dubbio» di essere l’assassino. Anzi, gli elementi che in primo grado portarono alla sua condanna a 24 anni di
carcere, per i giudici della Suprema Corte erano da considerare solo delle «congetture». Nelle motivazioni di quella decisione la Cassazione mise in fila tutti i tasselli di uno dei più noti casi irrisolti della cronaca nera, dopo le archiviazioni dei procedimenti a carico del portiere dello stabile Pietrino Vanacore (morto suicida) e di Federico Valle. Ad avviso degli ermellini l’assoluzione di Busco emessa dalla Corte d’Assise d’appello di Roma il 27 aprile 2012, non è da mettere in discussione perché risponde alle regole della «congruità e completezza della motivazione» e ha una «manifesta logicità». I giudici di piazza Cavour smontarono l’impianto accusatorio della Procura arrivando ad affermare che non si sa nulla di sicuro sulle «modalità e i tempi» dell’azione omicidiaria, sul «movente» dell’omicidio, e nulla autorizza a ritenere «falso»
l’alibi di Busco. Non è nemmeno sicuro che l’ex fidanzato di Simonetta fosse in via Poma quel giorno, mentre è sicuro che ci sono state altre persone delle quali si è trovato il Dna «minoritario» sulla porta di ingresso della stanza dove si trovava Simonetta e sul telefono dell’ufficio. 

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