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Politica

Conte si è dimesso: giorni decisivi per il nuovo governo

AGGIORNAMENTO ORE 12.45 - IL QUIRINALE, DOMANI AL VIA LE CONSULTAZIONI. Il presidente del Consiglio ha lasciato il Palazzo del Quirinale dove ha consegnato le sue dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Conte è uscito in auto dopo mezz'ora dal suo arrivo. Dopo il Colle, a Palazzo Giustiniani per incontrare la Presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Il premier aveva già comunicato le dimissioni nel CdM di questa mattina. Un CdM che, a quanto si apprende, si è chiuso con un momento «molto affettuoso» e gli applausi dei ministri al premier.

Le consultazioni per la formazione del nuovo governo partiranno domani pomeriggio: lo ha annunciato il segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti.

 

ORE 10.15 - CONTE SI È DIMESSO. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha comunicato ai ministri, a quanto si apprende, la decisione di recarsi al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni. La riunione del CdM è terminata dopo poco più di mezz'ora.

I capi delegazione del M5s Alfonso Bonafede, del Pd Dario Franceschini e di Leu Roberto Speranza avrebbero ribadito in Consiglio dei ministri il loro sostegno a Giuseppe Conte, dopo che il presidente del Consiglio ha comunicato la sua decisione di dimettersi.

«Ringrazio l'intera squadra di governo, ogni singolo ministro, per ogni giorno di questi mesi insieme», avrebbe detto, a quanto si apprende, il premier in Consiglio dei ministri.

 

ORE 7 - Il premier Giuseppe Conte questa mattina, martedì 26 gennaio, si recherà al Quirinale per dimettersi, aprendo una delicata crisi di governo. Comunicherà prima al Consiglio dei Ministri la sua decisione di lasciare il governo, poi salirà al Colle per la formalizzazione. Da quel momento in poi diverse soluzioni entreranno negli scenari che dovrà valutare il Capo dello Stato, che sicuramente avvierà consultazioni lampo con tutte le forze politiche, dal reincarico al premier uscente per un "ter", come a parole auspicano Pd,M5s e Leu, fino alla soluzione estrema dello scioglimento delle Camere. Le consultazioni, però, difficilmente potrebbero iniziare prima di mercoledì pomeriggio.

 

Conte vicino alle dimissioni: da "avvocato del popolo" alle liti in Senato

 

Pd, M5s e Leu hanno garantito che gli faranno da scudo, nella fase che si aprirà con le consultazioni al Quirinale. Ma il premier non si fida: teme una "trappola" di Matteo Renzi, sa che al Quirinale sul suo nome rischia di non materializzarsi la maggioranza necessaria ad avere il reincarico. «Se Conte non pone veti su Iv, la delegazione Iv non porrà veti sul suo nome», dicono dal partito di Renzi.

Conte ieri per ore è stato di fronte al bivio se dimettersi o attendere ancora. Ha deciso di aspettare qualche ora in più nel tentativo di incassare il via libera dei partiti di riferimento della maggioranza (Pd,M5s e Leu). Un via libera poi giunto ma che nei fatti non rappresenta ancora un viatico per il ter fino a quando non si chiariranno le posizioni di Iv e dei centristi durante le consultazioni del Quirinale. Tant'è che da questo momento in poi tutto sembra possibile, anche le larghe intese, l'unità nazionale, o i governi istituzionali.

 

C'è chi dentro Forza Italia sarebbe pronto anche a iscriversi a una maggioranza Ursula, europeista, con Pd, M5s e Leu, sedendo al tavolo delle trattative per la nascita del Conte ter (avendo voce in capitolo su programma e squadra di governo). Ma l’ipotesi che più ricorre quando si diffonde la notizia delle dimissioni è che si condizioni l’ingresso in maggioranza a una discontinuità segnata da un nuovo premier: girano i nomi dei Dem Franceschini e Guerini, sicuramente graditi anche a Renzi, ma il M5s li accetterebbe? L’alternativa sono quelle larghe intese che non solo il Pd e il M5s ma anche Lega e Fdi respingono con forza.

L'unica strada scartata dai fatti è quella di convincere il Presidente della Repubblica di avere ancora una maggioranza in grado di superare ogni scoglio, a partire da quello sulla giustizia dei prossimi giorni. Sullo sfondo resta l'ipotesi di elezioni anticipate, puntualmente negate da tutti, ma inevitabili nel caso in cui ogni qualsivoglia intesa parlamentare dovesse naufragare. 

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