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L’INTERVISTA. Letizia Gabaglio questa sera nella sede in corso Palladio

Allenare la mente
con la tecnologia?
Basta non subirla

I nativi digitali crescono con grande familiarità con la tecnologia
I nativi digitali crescono con grande familiarità con la tecnologia
Letizia Gabaglio

Gianmaria Pitton

La tecnologia è un pericolo per la mente? Fa diminuire l’attenzione, specie nei bambini e nei ragazzi, e disabitua all’uso della memoria? Secondo Letizia Gabaglio, giornalista scientifica, fondatrice del sito Medicinadigitale.it, è un pregiudizio. L’efficacia della tecnologia digitale è ormai dimostrata in numerosi campi che riguardano la mente e il cervello. La sua utilità, tuttavia, non significa accettazione acritica: «Qualsiasi tecnologia in sé non è buona né cattiva, dipende dall’uso che se ne fa» commenta Gabaglio, che interverrà questa sera, alle 20.45 nella sede della Fondazione Zoé in corso Palladio, per la rassegna “Vivere sani, Vivere bene”.

La tecnologia può essere amica del cervello?

È piuttosto diffusa l’idea che la tecnologia possa essere un pericolo per la mente. Internet è accusato di frammentare la capacità di attenzione, di non abituare più a imparare le cose a memoria. Alcune esperienze, tuttavia, vanno contro questa narrazione mainstream. Gli strumenti tecnologici digitali si rivelano molto efficaci nella riabilitazione da patologie neurologiche.

Può fare un esempio?

Strumenti come Kinect o la Wii, nati per il gioco, possono aiutare le persone affette da sclerosi multipla a muoversi meglio, con programmi appositi. I videogiochi sono utilizzati per i bambini con deficit dell’attenzione, l’Adhd, per allenare proprio la loro attenzione a focalizzarsi su uno scopo. La realtà virtuale può offrire soluzioni ai malati di Parkinson per superare i blocchi del freezing. Nessuna di queste cose è la situazione definitiva, ma aiutano.

Ci sono vantaggi anche per chi non è affetto da patologie?

Sì. È vero che le ricerche sui nativi digitali evidenziano che possono essere meno bravi a imparare a memoria, però sviluppano altri tipi di competenze, che migliorano la plasticità cerebrale. Ci dobbiamo abituare a un altro tipo di intelligenza. Il digitale sta rivoluzionando tutto, è una realtà. Bisogna cercare di interpretare al meglio gli strumenti che abbiamo, non per subirli, ma per agire in prima persona.

Cosa pensa dell’introduzione del digitale a scuola?

Il vero problema è che gli insegnanti spesso non hanno competenze specifiche, si limitano a un uso un po’ passivo, come fruitori di informazioni. Internet non è un semplice archivio di dati, ma ha come sua caratteristica peculiare la bidirezionalità: intendo dire, per fare un esempio, che le voci di Wikipedia si possono anche scrivere, non solo consultare. Un processo che richiede la valutazione e l’utilizzo delle fonti. La tecnologia è pervasiva, non possiamo chiudere gli occhi.

In ambito sanitario, qual è l’atteggiamento dei medici verso questo approccio?

In generale l’atteggiamento è di un certo allarmismo nei confronti della tecnologia, soprattutto internet, perché si teme il diluvio di informazioni non filtrate. Però non si può agire sulla difensiva, bisogna saper guidare i pazienti ad andare sì su internet, perché tanto ci andranno comunque, ma con strumenti per orientarsi. E i medici devono essere capaci essi stessi di andare sul web, partecipando alle discussioni sui social.

Ci sono esperienze di riferimento in questo senso?

Alla neurologia del policlinico Vanvitelli di Napoli hanno sviluppato un network per le persone con sclerosi multipla. Assomiglia a facebook, ma con molta attenzione alle esigenze dei pazienti e all’intercettazione delle fake news.

Gianmaria Pitton

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