Non ci sono case per le emergenze abitative: gli sfrattati vanno in albergo. Lo sta sperimentando sulla propria pelle, tra l’altro dopo una vita a dir poco travagliata a causa soprattutto dei suoi problemi di salute, L.T. una donna separata di 56 anni, gli ultimi 12 dei quali trascorsi su una sedia a rotelle dopo essere stata colpita da un ictus che l'ha resa emiplegica.
Lo sfratto
La signora di Bovolone, infatti, ha dovuto lasciare libera la casa in cui viveva da quando si era sposata che è stata messa all'asta dalla sua banca per il mancato pagamento delle rate del mutuo, acceso a suo tempo per acquistarla, a seguito della separazione. La ricerca durata settimane di un alloggio non ha dato purtroppo risultati. E quindi da ieri L.T. dovrà vivere nella stanza di un hotel, che è riuscita a trovare grazie all'intermediazione dell'assessorato ai Servizi sociali e all'amministratore di sostegno che l'affianca da qualche tempo. La camera non è però dotata di cucina e la 56enne riceverà i pasti già pronti. Dovrà farsi però carico delle spese, corrispondenti a quelle di un canone di affitto. Questa situazione è una delle tante facce di un fenomeno con cui anche nella Bassa devono fare i conti, oltre alle persone in difficoltà, tanti amministratori investiti da continue richieste di aiuto e assistenza. A partire proprio dall’emergenza abitativa.
La carenza di alloggi a Bovolone
La carenza di alloggi si fa sentire sempre più anche a Bovolone. «Non si trovano case», conferma Paolino Turrini assessore al Sociale, «ed è un problema generalizzato. Non siamo né il primo né l'unico Comune che deve ricorrere agli alberghi per far fronte alle emergenze abitative. Le poche cooperative nella nostra provincia che offrono accoglienza sono ormai al tutto esaurito. Il nostro Comune ha inserito di recente due ragazze madri. Se l'Ater completasse la ristrutturazione di alcuni appartamenti sfitti da tempo in paese si potrebbe fare un passo in avanti e garantire una risposta diretta ai casi urgenti».
La storia di L.T.
La vita della signora L.T. è stata stravolta 12 anni fa. Nella casa dove aveva messo su famiglia, conduceva una vita normale, aveva un lavoro in regola come operaia in una grande azienda di elettrodomestici, un marito e un figlio che nel 2011 era adolescente quando la mamma è stata colpita da un grave malore.
Quel giorno L.T. non lo dimenticherà mai. La donna era già pronta per andare al lavoro, si è sentita male mentre stava uscendo, era al telefono con il marito che si è accorto dei primi segni del malessere. «Avevo già avuto un prima crisi ma non grave», racconta L.T., «mio marito ha capito subito cosa mi succedeva e ha dato tempestivamente l'allarme al 118». Quella terribile mattina intervenne anche l'elisoccorso per trasportarla in Terapia intensiva. Ne è uscita semi paralizzata nella parte sinistra del corpo. Il braccio non risponde più, la gamba le permette di alzarsi con le stampelle ma per percorrere lunghi tratti si muove su una sedia a rotelle. Da allora le cose hanno preso una brutta piega, ha perso il lavoro a causa dell’invalidità, il matrimonio è andato in crisi e nella fase di separazione è saltato anche il pagamento regolare delle rate del mutuo. E così la casa, il suo rifugio dove si sentiva protetta, è andata all'asta.
«Il mio legale ha fatto presente le mie condizioni di salute», riferisce la donna, «ma il giudice ha stabilito che dovevo uscire e portare via anche il mobilio, altrimenti veniva messo in un deposito. Scaduto il termine è partita la procedura e anche il mio avvocato non ha potuto fare nulla per bloccare lo sfratto».
Quindi aggiunge: «Da 11 anni faccio domanda all'Ater e sono molto in alto nella graduatoria ma non ci sono alloggi disponibili. Nella stanza d'albergo manca la lavatrice e per lavare gli indumenti dovrò andare in lavanderia. Mi hanno tolto anche l'accompagnatoria e la mia pensione di invalidità se ne va quasi tutta per pagare la stanza e il vitto. Andare avanti così è sempre più difficile».