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Le reazioni

I rider: «Non lasciateci a casa, noi viviamo di questo lavoro»

I fattorini veronesi chiedono ai clienti di continuare a usare le App del delivery: «Non c'è sfruttamento. E guadagniamo anche bene»
I riders a Verona sono 1.100, per lo più lavoratori autonomi
I riders a Verona sono 1.100, per lo più lavoratori autonomi
I riders a Verona sono 1.100, per lo più lavoratori autonomi
I riders a Verona sono 1.100, per lo più lavoratori autonomi

La storia del rider che giovedì sera ha consegnato hamburger e patatine a casa dell’ex consigliere regionale e assessore comunale di Verona Andrea Bassi partendo in bicicletta dall’est della città e arrivando a Bussolengo, è diventata un boomerang per i fattorini suoi colleghi. Che ora, dopo la decisione comunicata su Facebook dall’ex politico «di non utilizzare mai più il delivery» perché quello delle App è un sistema che sfrutta questi lavoratori rasentando lo schiavismo, denunciano «l’assoluta scorrettezza di quello che è stato raccontato, con una nefasta ricaduta per chi come noi, consegnando pasti a domicilio, campa e mantiene la famiglia».


L’intento di Bassi, come è tornato a scrivere ieri in un altro post, era semplicemente quello di «squarciare il velo di indifferenza che cela alcune evidenti storture nel funzionamento di questo tipo di servizio», augurandosi che «chi sta nelle stanze dei bottini si adoperi per modificare e/o adeguare le norme che regolano il settore». Gli è successo che, per la voglia di mangiare fast food, il giovane che ha accettato di effettuare la consegna ha pedalato - questa la versione originaria - per 40-50 chilometri tra andare e tornare, «distanza che ho calcolato io», precisa Bassi, «sulla base del suo racconto» quando ha chiesto spiegazioni per il grande ritardo nella consegna. «Alla fine non è questione di 20,30 o 40 chilometri», è la morale dell’ex amministratore, «ma non correrò più il rischio di avallare un simile sistema che in certe condizioni rasenta lo schiavismo».

 

La reazione dei rider: "No al boicottaggio"

Immediata la sequela di repliche da parte dei rider che invitano a «non seguire il consiglio dell’ex politico», «il suo è puro boicottaggio che, per la disavventura di uno, rischia di metterci in ginocchio tutti», «continuate invece a ordinare sulle App, non è vero che siamo sfruttati, sottopagati o costretti a fare chilometri se non vogliamo», «falsa anche la storia che l’algoritmo, se per qualsiasi motivo rinunci ad effettuare un servizio, ti penalizza e non vieni più chiamato: bugia», «bravi tutti a pontificare quando si ha un lavoro ben pagato e con tutte le tutele possibili, per favore, state zitti e lasciateci lavorare tranquilli grazie a queste multinazionali che ci garantiscono entrate per vivere, o preferite che andiamo a rubare?».

 

Il calo degli ultimi giorni

E via così, fino al «finale» di cui Bassi non voleva certo rendersi responsabile: «Da quando sui giornali è venuto fuori questo can can», denuncia Pietro Z. portavoce di una cinquantina di colleghi della città, «abbiamo già visto un calo delle consegne. Non è un caso, purtroppo, e siamo preoccupati. Chiediamo alla gente di non abbandonarci e di continuare a ordinare pranzi, cene, gelati, bibite attraverso le App, ci pensiamo noi a tutto, ma non possiamo pensare di vedere calare il lavoro, perchè è la nostra salvezza». Confessa Pietro: «Riusciamo a guadagnare anche fino a 1.500-1.800 euro al mese. E’ faticoso, ma quale lavoro non lo è? Siamo collaboratori a partita Iva e benediciamo ogni giorno queste aziende che ci hanno dato una alternativa alla disperazione della disoccupazione».

 

Davide: "Senza Deliveroo sarei alla fame"


E Davide: «Io ho 52 anni, faccio il rider da 5, senza Deliveroo sarei alla fame, anche perché alla mia età nessuno mi prende. Riesco a mettere insieme ogni mese dai 1.000 euro in su lavorando quando voglio e senza nessuno che mi comanda. Sono molto più sfruttati i dipendenti/soci delle cooperative. La nostra mancanza di tutele e di diritti», continua, «è la stessa che affligge tutti gli autonomi, come loro siamo costretti ad aprire una partita Iva e a pagare le tasse senza avere nulla in cambio, ma non sono le piattaforme del Delivery a negarci le tutele bensì lo Stato. Qualunque legge che imponesse a queste aziende di assumerci come dipendenti», spiega, «provocherebbe l'uscita delle stesse dal mercato italiano, come è accaduto in Spagna: per loro sarebbe un costo insostenibile. Insomma», sbotta, «questo lavoro è nato autonomo e solo rimanendo tale può continuare ad esistere. Ben vengano invece più diritti come il rimborso carburante o del mezzo per spostarci».

E poi, rivolgendosi sul social direttamente a Bassi, sotto al post incriminato: «Ma lo sai che siamo decine di migliaia in Italia a fare questo lavoro? Gente come me, senza queste App, rimarrebbe per strada a fare la fame, è vero, non siamo tutelati, niente ferie nè malattie, ma questo non dipende da Deliveroo o da Glovo o dagli altri del settore ma da questo Paese che non garantisce nessun diritto ai lavoratori autonomi, li spreme solo».  Sul funzionamento del sistema, torna preoccupato «a ribadire la verità» Paolo: «Io collaboro con Deliveroo e l’ambiente non è di sfruttamento come descritto dal collega andato dalla città fino a Bussolengo. La paga è a consegna e le consegne possono essere rifiutate quante volte si vuole. Quanto guadagno? Dipende da quanta necessità ho di farlo: in media arrivo ai 600 euro al mese lavorando nei week end, non mi risparmio, pedalo tutta sera avanti e indietro, spesso recupero qualche mancia, insomma non posso lamentarmi, ma quale altra realtà lavorativa mi offre alternative simili? Guai se parte la campagna di sensibilizzazione “basta rider“, perché se l’intento è “a fine di bene“, sappiate che così ci fate solo male, tanto male».

Poi, la «chicca» che in realtà denuncia la necessità di regole più ferree per tutti: «Le vere problematiche da risolvere sono altre, come quella di chi lavora con l’account di un altro rider per guadagnare di più penalizzando chi si mantiene onesto; è arrivato anche qui il caporalato che, è chiaro, va fermato, ma per il resto non è un ambiente di sfruttamento, anzi. E’ la nostra salvezza». 

Camilla Ferro

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