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VicenzaOro

L'unione tra gioielleria e moda è una lunga catena di talenti

Il colore rappresenta uno degli elementi che mettono in contatto la gioielleria e l'alta moda. Dufermont, responsabile del Servizio pietre di Dior, all'incontro di Assogemme.
Il colore rappresenta uno degli elementi che mettono in contatto la gioielleria e l'alta moda (Colorfoto)
Il colore rappresenta uno degli elementi che mettono in contatto la gioielleria e l'alta moda (Colorfoto)
Il colore rappresenta uno degli elementi che mettono in contatto la gioielleria e l'alta moda (Colorfoto)
Il colore rappresenta uno degli elementi che mettono in contatto la gioielleria e l'alta moda (Colorfoto)

Colori, volumi, ma anche artigianalità e competenze che passaggio dopo passaggio creano l'opera d'arte. C'è più di un punto di contatto tra il mondo della moda e quello della gioielleria, una volta ritenuti separati, ora sempre più vicini. A raccontarli ieri a Vicenzaoro, nell'incontro organizzato da Assogemme, è stato Dominique Dufermont, responsabile del Servizio pietre di Dior Joaillerie, intervistato da Raffaele Ciardulli.

Il primo punto in comune è il colore, un elemento chiave per la direttrice artistica della maison, Victoire de Castellane. «Per la moda il colore è raramente una tematica pura - sottolinea Dufermont - A partire dal 1999, quando Dior lanciò la prima collezione di gioielli e John Galliano creò una collezione completa basata sul rosso, che era il colore preferito da Christian Dior. Victoire de Castellane è una colorista. I gioielli pieni di colori sono il suo marchio di fabbrica. Il suo approccio non riguarda il valore delle pietre, ma il colore».

L'altro trait d'union sono i volumi, altro campo in cui de Castellane ha avuto un effetto dirompente in un mondo nel quale al tempo le dimensioni non erano un elemento centrale. «Quando fu lanciata l'alta gioielleria, gli abiti di Dior erano molto giocati sui volumi, con metri di tessuto, movimento, molto ricchi. Per rispondere a questo, la prima collezione si chiamava "precieuse et uncroyable" e reintrodusse pietre molto grandi. Alla fine degli anni Novanta le principali maison di alta gioielleria erano focalizzate sulle pietre preziose in sé, ma non su quelle molto grandi. Lei utilizzò enormi ametiste, topazi da 50 e 80 carati, riportando i volumi nelle collezioni».

Ma l'elemento che veramente fa dei due settori uno lo specchio dell'altro è senz'altro l'importanza del fattore umano, che passo passo crea il pezzo unico. «Probabilmente il punto di contatto più importante tra gioielleria e moda è proprio il saper fare delle persone. Sia nell'alta moda, sia nella gioielleria non è una persona sola che crea l'opera d'arte, ma una lunga catena di diverse competenze e talenti». Della quale il direttore creativo è solo il primo anello. «C'è un direttore creativo con una visione, qualcosa in mente, ma per dargli vita ci sono tanti passaggi. Che iniziano con il disegno, ma poi la modellista crea il volume, in lino, perché tiene la forma.

Nella gioielleria accade lo stesso, perché per realizzare un gioiello hai bisogno di almeno dieci diversi passaggi e ogni artigiano ha altissime competenze, perché l'obiettivo è ottenere un pezzo unico». E il segreto per ottenere qualcosa di unico e procurarsi il meglio, anche nelle pietre, è sempre l'esperienza, che si basa anche sulle relazioni e consente di avere uno sguardo d'insieme. «È importante avere una visione completa, che è il reale significato di esperienza. Quello che amo nel campo delle pietre è conoscere dalla miniera al cliente, perché credo che questa visione sia importante per comprendere il valore di ciò che hai tra le mani. Se qualcuno ti dice che è un pezzo raro, puoi credergli e sperimentarlo. Non sempre nel commercio delle pietre ti fidi della persona che hai di fronte. Se non hai la più ampia conoscenza possibile, è difficile comprendere cos'hai di fronte. Se parliamo di miniere, so che l'opale rosa è raro, ma se non conosci la miniera, la situazione, com'è arrivata sul tavolo e l'energia richiesta, non la stai considerando nel modo giusto. Anche la tracciabilità - conclude Dufermont - è una questione di fiducia nelle persone con cui hai rapporti di lavoro».

Maria Elena Bonacini