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savino e fortunato

Una squadra straordinaria «Ma ci scipparono la Serie A»

Può una squadra neopromossa dalla serie C dimostrarsi all’altezza della serie B mantenendo più o meno gli stessi giocatori? Gli addetti ai lavori, nell’estate del 1985, se lo chiedevano con un misto di curiosità e scetticismo, osservando i pochi movimenti di mercato del Vicenza allenato da Bruno Giorgi. A fronte di tre partenze (Piergiorgio Zanandrea, Paolo Mariani e Roberto Baggio), più il ritiro del portiere Claudio Maiani, vi furono tre soli innesti nella rosa biancorossa: un esperto stopper alla sua ultima stagione da professionista, Cesare Cattaneo dal Varese; e due giovani mediani prelevati dalla C, Daniele Fortunato (Legnano) e Gabriele Savino (Carrarese). «Ricordo che la Gazzetta bollò quelle operazioni come insufficienti per l’obiettivo della salvezza, e assegnò al Vicenza come voto un 5 secco – racconta Savino -. Io in verità ero molto fiducioso: la serie B non l’avevo mai vissuta, come molti giocatori di quella squadra, ma da quanto avevo visto da avversario ero convinto di arrivare in un organico con un bel potenziale».

Fortunato era felice di ritrovare Savino, già suo compagno per due stagioni al Legnano, ma ancor più di arrivare in un club così blasonato: «Da ragazzino avevo visto in televisione i gol del Vicenza di Paolo Rossi e Giancarlo Salvi – spiega -. Così, quando mi chiamò come direttore sportivo proprio Salvi, ero emozionato di arrivare nella squadra con quella maglia biancorossa inconfondibile. Per prima cosa andai in biblioteca a Milano e mi procurai un libro sulla storia del Vicenza, perché volevo capire davvero quale tradizione andassi ad ereditare».

Già dalle amichevoli, in realtà, fu chiaro che quella squadra poteva far bene. «Mettemmo in difficoltà la Roma in un Menti già pieno d’estate – ricorda Savino -. Fin dalle prime partite vivemmo una sensazione speciale: giocando insieme, soprattutto in quello stadio, ci divertivamo un sacco. Ecco perché tutto ha funzionato a meraviglia». «Il calendario ci mise subito di fronte ad avversari molto accreditati, e noi non sfiguravamo mai, anzi – osserva Fortunato -. Ben presto gli altri cominciarono temerci, e noi ad avere grande fiducia». In una squadra di ottimi giocatori, il vero fuoriclasse sedeva in panchina: «Giorgi era uno avanti, in anticipo sui tempi per molti aspetti», conferma Savino. E Fortunato, poi divenuto a sua volta allenatore, scende nello specifico: «In un’epoca senza internet, moviole, banche dati, lui già in settimana ci sapeva dire perfettamente come avrebbe giocato il nostro avversario, e non solo a livello di squadra, ma anche per quanto riguarda il giocatore che ognuno di noi si sarebbe trovato a fronteggiare in campo. Solo parecchi anni dopo alla Juve avrei ritrovato una preparazione simile». Un uomo pacato, che misurava le parole, ma usava sempre quelle giuste: «Un giorno mi prese in disparte e mi disse: “Fortunato, tu vuoi continuare a giocare così? Perché a me sta anche bene, ma se vuoi fare il salto di qualità devi pure cominciare a fare qualche gol”. La domenica successiva contro il Monza segnai in rovesciata e gli dissi tutto contento: “Mister, hai visto come ho segnato?”, e lui con un mezzo sorriso “E ci mancherebbe anche che non mi ascoltassi…”».

La storia racconta che quella spumeggiante squadra di debuttanti si conquistò sul campo la promozione in A, tuttavia revocata per gli strascichi giudiziari della stagione precedente. «Fu uno scippo, una botta psicologica tremenda, così dura che l’anno dopo, quando anche Giorgi se ne andò, finimmo per precipitare in C più o meno con gli stessi giocatori», commenta Savino. E proprio a quei compagni ripensa con affetto Fortunato: «Calciatori come Mascheroni, Savino, Lucchetti, Rondon, ma potrei citarne tanti altri, avrebbero meritato di prendere quel treno verso la A e di giocarsi la loro grande occasione – sottolinea -. Io poi ne ho avute altre in carriera, ma sarebbe stato bello vivere l’emozione della A con quel gruppo e con la maglia biancorossa addosso».

Francesco Giutto