<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
MAGIA A VIAREGGIO

Una generazione di fenomeni che fece sognare Vicenza

È la somma data da un allenatore fuori dal comune, un arbitro “amico” e una guerra annunciata con la Jugoslavia del maresciallo Tito a far ottenere come risultato il Torneo di Viareggio vinto dal Lanerossi Vicenza nel 1954, e poi bissato nel ‘55. L’ordine degli addendi segue in decrescere il loro grado di importanza. Perché è vero che è il “signor Massai di Pisa”, il quale li ha ammirati in una partita arbitrata a Genova, a caldeggiare l’inserimento dei ragazzi in biancorosso fra le sedici squadre iscritte alla sesta edizione della manifestazione di football giovanile più prestigiosa del Paese, nonostante appartengano a una società all’epoca in Serie B, e non in A. Così come è vero che la sua richiesta in Toscana viene accolta per la scomparsa dal tabellone della Stella Rossa di Belgrado, non pervenuta in seguito alle tensioni originatesi fra Italia e Jugoslavia, entrate in conflitto diplomatico per la giurisdizione del prezioso territorio di Trieste. Epperò, quanto detto non sarebbe avvenuto se non si parlasse di un Vicenza di “boys” affidati a un mister che di nome fa Umberto Menti, meglio noto come Berto. Vicentino del quartiere di San Felice, dove è nato nel 1917, Berto è il fratello maggiore del Romeo a cui è oggi intitolato lo stadio cittadino, superbo attaccante di fascia destra, scomparso a Superga nel 1949 assieme ai compagni del Grande Torino. A sua volta ex calciatore di Serie A, dove ha militato da elegante e ispirato centrocampista con le maglie di Juventus e Milan, una volta ritiratosi dal campo, il più vecchio dei Menti entra nei ranghi tecnici della società biancorossa dei suoi esordi. Quando, nel secondo dopoguerra, per il calcio professionistico italiano giunge il momento di creare vivai con cui alimentare le prime squadre, a Vicenza non possono sbagliarsi consegnando proprio a lui la formazione giovanile del club. La paterna ostinazione con cui Berto Menti obbliga i suoi allievi a infinite sedute di palleggi, stop e controlli di palla, nei primi anni ‘50 dà come risultato una rosa di giocatori che sublimano i propri solidi fondamentali in uno straordinario collettivo. A comporlo sono soprattutto “tosi” nostrani come l’audacissimo portiere Momi Luison, i difensori multiuso Mirko Pavinato, nel 1964 campione d’Italia con la maglia del Bologna, Mino Burelli, Riccardo Carretta, Vittorino Suppi, i mediani Livio Busato, Luciano Capraro, Attilio Prior e Walter Guerra, il bomber di casa Renzo Cappellaro, che farà sfracelli nel Cagliari subito prima di Gigi Riva, il futuro avvocato Sergio Campana, destinato a fare storia con la creazione dell’Associazione Calciatori, oltre a quel Menti di seconda generazione, Gigi, che sulla fascia destra sciorina lampi di classe ereditati dagli zii. A questo punto, per andare in Versilia ostentando le sgargianti R della Lanerossi stampigliate su giacche di sartoria, vincere il “Viareggio”, e rincasare accolti da mezza città festante alla stazione, basterà aggiungere giovani talenti della prima squadra come l’universale friulano Mario David, che nel 1963 si aggiudicherà la Coppa dei Campioni nel Milan di Rivera e Altafini, o il centrocampista romagnolo Azeglio Vicini, commissario tecnico dell’Italia ai Mondiali del ‘90. Il che, raccontato oggi, pare un gioco da ragazzi, e forse un po’ lo è pure stato, a giudicare dai risultati che inanellano i ragazzi di Berto Menti contro avversarie sulla carta proibitive: 3-1 addirittura al Real Madrid, vittoria alla monetina contro la Fiorentina dopo il 2-2 del campo, 3-0 al Milan, 2-1 alla Juventus. Quest’ultimo successo è relativo alla finale, giocata il primo marzo 1954 in diretta Rai dovendo rinunciare non solo a capitan Pavinato messo ko da un infortunio, ma anche a Sergio Campana, preteso dall’allenatore della prima squadra, Aldo Campatelli, per il derby disputato il giorno prima contro il Marzotto Valdagno. Lo spirito messo in campo da quel Vicenza supplisce a qualsiasi assenza, come dimostrano le due reti vincenti segnate da David su punizione, e da Cappellaro quando meno te lo aspetti, a coronamento di un chirurgico contropiede. Il bomber si ripeterà alla grande un anno dopo, quando i boys biancorossi partecipano da campioni in carica alla settima edizione della Coppa Carnevale. Fra i volti e i nomi nuovi della squadra, oltre a Ghirardello, Campagnoli e Spinato, spicca un terzino destro destinato a fare la storia del Lane, Giobatta Zoppelletto, fuori-quota concesso dal regolamento. Negli anni successivi, “francobollando”, come si usava dire allora, e all’occorrenza randellando chiunque si avventuri sulla sua fascia di competenza, formerà assieme al più tecnico e offensivo Giulio Savoini un corrispettivo della coppia Burgnich-Facchetti passata alla storia della Grande Inter. A Viareggio questo rafforzamento difensivo porta frutti consistenti nella casella dei gol incassati, che rimane ferma a quota zero per tutte e quattro le partite disputate. Si comincia di nuovo contro una grande del calcio europeo, che stavolta è il Bayern Monaco, sconfitto 1-0, per poi regolare nell’ordine il Genoa, battuto 3-0, e l’Atalanta, mandata a casa nella semifinale vinta 2-0. La finale, che si disputa lunedì 21 febbraio 1955, oppone il Vicenza alla Sampdoria, avversaria meno temibile della Juve dell’anno prima. Stavolta Campana, pur avendo giocato il giorno prima a Brescia, è regolarmente in campo, e dà il suo contributo al 2-0 finale confezionato da una doppietta di Renzo Cappellaro. Ma se qualche giocatore cambia, l’importante è che il marchio di fabbrica continui a chiamarsi Berto Menti.

Lane 120 continua. Nei prossimi giorni nuove storie e personaggi che hanno scritto la storia del club biancorosso.