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ERNESTO GALLI

Un titano tra i pali Bandiera a mani nude

Ernesto Galli
Ernesto Galli
Ernesto Galli
Ernesto Galli

Un metro e ottanta abbondanti, una chioma scapigliata e gli occhi velati dalle sopracciglia. E poi due mani che sembrano enormi, quasi che a difendere i pali delle sue squadre, più che un normale portiere, ci fosse un titano inaggirabile. Era così Ernesto Galli, estremo difensore del Vicenza tra il ’75 e il ’79, più una parentesi di fine carriera. Serio, rassicurante, uno degli ultimi nel suo ruolo a scendere in campo rigorosamente senza guanti, fatta eccezione per le domeniche di pioggia abbondante. Da giocatore milita nell’Udinese, nella Spal, nel Brescia e nel Cesena, ma è proprio con la maglia del Lanerossi che scrive le sue pagine migliori, dapprima diventando un pezzo fondamentale di quella squadra dalle imprese impossibili, e poi, una volta appesi gli scarpini al chiodo, come allenatore, ricoprendo per tante stagioni soprattutto il ruolo di vice, al fianco dei vari Giorgi, Reja e Guidolin.

L’arrivo in Veneto è quasi cinematografico. Siamo nel ’75, e in un ristorante di Occhiobello s’incontrano Farina e Dino Manuzzi, patron del Cesena, per concordare uno scambio di portieri: Bardin andrà in bianconero e Galli al Vicenza, scelto apposta per ricostruire da zero una rosa appena retrocessa e già ansiosa di lasciare la B. Durante il pranzo i due atleti, che sono presenti, nemmeno si parlano, e assistono in silenzio alla trattativa tra i rispettivi presidenti. Forse c’è semplicemente poco da dirsi, o forse, altrettanto semplicemente, quando si sanno bene le stesse cose, non è necessario che un cenno d’intesa.

Ernesto dunque approda in biancorosso, anche se la sua divisa è di tessuto verdone, con il colletto spiegazzato che a fatica sembra contenerne il collo. Addirittura qualcuno lo soprannomina “Pantelic”, per via di qualche somiglianza coll’omonimo portiere serbo di quegli anni. Anche nel nomignolo, in fondo, non c’è nulla di eccentrico. Ernesto è un uomo a cui non piace apparire, e la cui solidità fisica è specchio di una fermezza caratteriale che fa da collante nello spogliatoio. Lontano dai riflettori, quando Galli parla, i compagni lo ascoltano con l’attenzione che si deve al saggio del gruppo, sempre disponibile, e quando serve persino schietto: memorabile un battibecco con Carrera, in cui ad un certo punto l’estremo difensore sbotta: «Sei la più bella testa di… che ho mai incontrato nella mia vita! Cerca di cambiare!». Per tutta risposta il libero per eccellenza si mette a ridere, spiegando che lui, più che cambiare, sarebbe potuto soltanto andare in peggio.

Se alla sua prima stagione col Lane, i biancorossi mancano clamorosamente l’obiettivo promozione, alla seconda, con l’arrivo di Fabbri in panchina e di Pablito in attacco, la squadra cambia marcia: prima con la pronta risalita nella massima serie, e poi con il secondo posto in A che consacra quell’undici titolare. E pensare che Ernesto, all’inizio del campionato 77-78, vedendosi in una rosa che sulla carta pareva raffazzonata alla bell’e meglio, sospira sconsolato che «quest’anno non ci salva nemmeno la penicillina». Invece il portiere, pur esperto di salvezze conquistate col coltello tra i denti, si sbaglia di grosso. È l’inizio di una stagione indimenticabile, che lo vede spiccare come un bastione al centro di una cerniera compatta che con Lelj e Carrera detta i tempi nelle retrovie. Indimenticabile la partita con la Roma, terminata 4 a 3 per i vicentini, con Galli che allo scadere para un rigore a Di Bartolomei, proiettando i berici al momentaneo terzo posto in classifica. In campo, lo si diceva, Galli è diligente e meticoloso, ma lontano dal rettangolo verde si rivela anche un amante della buona cucina. A Ponte delle Alpi, durante il ritiro pre-campionato, a tavola fa coppia fissa con Mike Sulfaro, portiere in seconda e suo grande amico. Col favore delle tenebre i due sgattaiolano fuori dall’albergo, accompagnati dal buon Faloppa, per rintanarsi in qualche locale ed abbuffarsi di polenta e capriolo, mentre il bagno della camera è prontamente trasformato in una cantina, con delle bottiglie di pinot messe a raffreddare nel lavandino e le sopresse appese nel vano della doccia.

D’altronde è cosa nota che i portieri, per quanto affidabili, debbano avere in sé quel pizzico d’estro che li avvicina alla follia. Quella che permette di gettarsi senza paura nella mischia e di librarsi in aria per cavare un pallone dall’incrocio.

E forse non c’è immagine migliore per ricordare il portiere di quel Vicenza che divenne “Real”: lanciato in una delle sue parate, come sospeso, ad eterna difesa della porta biancorossa.

Andrea Mainente