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IL MONDO DI GIULIO

Savoini e i dieci anni da capitano. La salvezza dalla C2, atto d’amore

Giulio Savoini nasce nel 1930 a Cressa, un piccolo agglomerato di case disteso nella pianura novarese, dove si coltivano ottimo riso, buon vino... e bel calcio. Ci viene da dire che da una terra così fertile non poteva che nascere un giocatore dall’animo generoso, capace di rinunciare ai propri interessi a favore di una giusta causa. Il piccolo Giulio si avvicina al mondo del calcio in un’epoca e in un territorio che offre ben poco al tempo libero dei ragazzi. A Cressa, come in tanti altri paesini italiani, c’è solo lo spiazzo dell’oratorio per tirare quattro calci al pallone oppure, come cantava Celentano, un prete sempre a disposizione per quattro chiacchiere. A quel tempo le società calcistiche si avvalgono di giovani raccattapalle, ai quali in cambio viene concesso l’ingresso gratuito alle partite della domenica. Giulio non proviene da una famiglia ricca e quell’agevolazione gli sembra una manna dal cielo, lo fa sentire utile e importante. Per di più, la possibilità di assistere agli incontri da bordo campo, ascoltando i suggerimenti e i consigli dell’allenatore ai giocatori diventa per lui una grande opportunità di crescita. Finalmente a 15 anni Giulio inizia a giocare come ala sinistra. Nelle piccole squadre dilettantistiche come il Cressa, il ruolo di chi indossa la maglia numero 11 viene chiamata “dello zoppo” perchè – non essendo all’epoca possibili le sostituzioni – viene assegnata agli infortunati, ai più scarsi o agli ultimi arrivati. Ma tant’è ... Giulio si adatta, anche perché giocare in quella posizione esalta le sue caratteristiche fisiche e agonistiche. Nel 1949 viene notato da un osservatore dell’Alessandria e subito ingaggiato con i grigi: dopo un primo anno di serie B passato quasi totalmente in panchina, dall’anno successivo Savoini diventa un vero punto di forza della squadra con cui disputa tre stagioni ad altissimo livello. Ed ecco che nell’estate del 1953 arriva la proposta dal Vicenza, anzi del neo Lanerossi Vicenza, che Giulio accetta con entusiasmo. Più che un’offerta lavorativa è un vero proprio matrimonio, che dura la bellezza di tredici campionati, durante i quali Giulio indossa per dieci anni consecutivi la fascia di capitano: la riceve nel 1956 da Miglioli e la passa come un testimone a Carantini nel 1966, senza che sia mai stata macchiata da un’ammonizione o tanto peggio da un’espulsione. Il Lanerossi Vicenza di capitan Savoini è la squadra delle buone maniere, dell’educazione ma anche delle regole severe da seguire senza tante obiezioni, visto che sono esplicitamente indicate nel contratto che ogni giocatore è tenuto a sottoscrivere. In quegli anni nello spogliatoio vige una specie di bonario “nonnismo” e a farne le spese sono i giocatori più giovani, che devono sottostare ad alcune usanze gerarchiche: i “veci” comandano e i “bocia” devono tacere e imparare. Si racconta infatti che spettasse ai novellini portare le valigie ai titolari durante le trasferte, occuparsi della pulizia delle scarpe e talvolta ad alcuni di loro veniva anche chiesto di usare le scarpe nuove dei “veci” finché si ammorbidivano, onde evitare fastidiose vesciche. Ma al di là di questi episodi che ricordano il clima della naja, la squadra biancorossa è una grande famiglia, caratterizzata da amicizia vera e importanti valori morali. Ecco, si può dire che Giulio Savoini è il custode e il garante di questo stile di vita, un calciatore che fa della correttezza e della serietà professionale un imperativo assoluto. Che fosse un aziendalista è fatto risaputo, il Presidente gli ordina di essere l’occhio e l’orecchio della società all’interno dello spogliatoio e di vigilare sul rispetto della dieta e degli orari di rientro serale e lui risponde con il classico “obbedisco”. Molti sono i suoi racconti sulla disciplina che veniva richiesta alla squadra in campo e fuori. LE SIGNORINE SUL TRENO L’episodio più rappresentativo è forse quello avvenuto durante una trasferta del Lanerossi in treno, quando si accomodano nei sedili vicino a due belle signorine. Dopo un po’ di tempo Savoini le sente lamentarsi a voce alta e decide di andare a vedere cosa sta succedendo; le giovani donne spiegano al capitano di essere state importunate dai due giocatori. Dal suo posto si alza anche Vinicio che, con molta calma, si avvicina ai due compagni di squadra e senza proferire una parola distribuisce a entrambi un sonoro ceffone, scusandosi con le ragazze per il disdicevole episodio. Gli fa eco Capitan Savoini, che rimprovera i colpevoli: «Vergognatevi, quando indossiamo la divisa del Lanerossi Vicenza noi rappresentiamo non solo la squadra di calcio ma anche la città e tutti i tifosi....». Allo stesso tempo però, Giulio é una persona di gradevole compagnia, sempre pronto alla battuta e allo scherzo. In virtù della considerazione di cui gode in società e congruamente con la sua figura di capitano, si fa portavoce delle varie esigenze e appoggia le richieste economiche dei compagni di squadra. E’ una persona altruista, disponibile e sempre pronta al dialogo con tutti. La carriera di Giulio Savoini in biancorosso, sia come giocatore che come allenatore, è stata un raro esempio di abnegazione, generosità, spirito di sacrificio e fedeltà alla maglia. Nessun altro avrebbe accettato la conduzione tecnica di un Vicenza ormai già spacciato, tramutando una sicura quanto vergognosa retrocessione in C2 nell’insperata salvezza strappata con i denti a Ferrara contro il Prato, il 7 giugno 1990. Possiamo dire che il merito di aver trasformato un’accolita di improvvisati in una squadra rigenerata da un rinnovato spirito battagliero va ascritto senza dubbio a Giulio Savoini, che ha così risparmiato alla storia del Vicenza l’onta di una tragica caduta nel calcio semiprofessionistico. Giulio Savoini era orgoglioso del suo glorioso trascorso di calciatore e amava essere ancora ricordato come il “Capitano”. Ha sempre vissuto qui a Vicenza, vicino al Menti. Ricordo ancora una frase che mi ha detto qualche settimana prima di andarsene: «Io sono un uomo felice. Vedi, sono sessant’anni che tutte le mattine mi sveglio e, quando apro la finestra, vedo il mio stadio e la mia città. Io al Vicenza ho dato tutta la mia vita. Non dimenticatemi mai...».

Lane 120 continua. Nei prossimi giorni nuove storie e personaggi che hanno scritto la storia del club biancorosso.

Anna Belloni