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LA SCALATA

Quella serie A nel 1955 non arriva per caso

Giugno 1955. Il Lane sta concludendo la sua vittoriosa cavalcata verso la Serie A e in città come in provincia, ovviamente, l’entusiasmo è alle stelle. Per celebrare l’avvenimento, ancor prima che il torneo si concluda, il Circolo Sportivo Biancorosso dell’Enal dà alle stampe e diffonde tra i tifosi un Numero Unico gratuito dal titolo eloquente, ovvero “Il Lanerossi Vicenza A.C. sulla via dei trionfi”, edito dal periodico “Reclam-Sport” presso la Cooperativa Tipografica degli Operai e finanziato dalla raccolta pubblicitaria curata da Bruno Noaro.

FIRME DI PUNTA L’opuscolo ospita i contributi di alcune firme di punta del giornalismo locale, e a renderlo particolarmente interessante è un’approfondita analisi del successo, che va ben oltre i risultati agonistici. Non per nulla, nel suo saluto introduttivo, il delegato provinciale del Coni, Vittorio Morini, sottolinea l’impresa “compiuta da dirigenti, tecnici e giocatori della squadra bianco-rossa, che sui campi d’Italia alla vittoria del migliore hanno unito chiare manifestazioni di serietà, di tecnica, di signorilità e di opera moralizzatrice dello sport”. “Squadra miliardaria”? Macché! A cosa si riferiscano quelle ultime parole di Morini ce lo spiega, in uno degli articoli, Ernesto Borsatto, che così esordisce: «C’è una leggenda, nella storia di questo campionato cadetto, che va sfatata: quella del Lanerossi Vicenza A.C. squadra miliardaria, quella di una società che ha distribuito milioni a piene mani». A tale proposito, il cronista rievoca un colloquio avvenuto in un caffè del centro col mister Aldo Campatelli: «Vede – disse allora il trainer ex interista – io ebbi l’incarico di cercare il materiale adatto per tentare la grande scalata e, certamente, avrei potuto prendere, tanto per fare un esempio, il Bassetto, che tra l’altro era vicentino e sarebbe stato visto volentieri in biancorosso: ma il Bassetto costava qualche decina di milioni. Con la stessa cifra ho comperato tutta la squadra…». E adesso, a distanza di qualche mese, confessa Borsatto, «non so trattenere un risolino: penso a Bassetto, ai cinquanta milioni che sarebbe stato necessario sborsare, e penso ai Giaroli, Sentimenti, Moro, Manzardo, Motta, che del Lanerossi di quest’anno sono stati gli uomini nuovi e sono costati la classica pipa di tabacco»; in più “al naso di Campatelli si deve anche il mancato acquisto di altre pedine” quand’era apparso necessario qualche ritocco alla formazione: al loro posto “venne sfornato, caldo caldo, il buon Campana”, uno dei giovani eroi del Torneo di Viareggio, così come “la rivelazione Pavinato”. In tal modo, «è presto chiaro che una diversa impostazione ha avuto la società, anche sul piano morale, da quante altre imperversano sui campi di calcio», perché «non basta possedere undici giocatori anche fortissimi per vincere un campionato, ma tutto deve essere impostato nel modo in cui il Lanerossi Vicenza ha impostato le sue cose».

LA VITTORIA DI UN METODO. Sulla stessa linea si muove la lunga disamina di cui, sempre nel Numero Unico, s’incarica Andrea Tadiello, compiendo un implicito atto di onestà intellettuale dal momento che anch’egli, come altri colleghi della stampa, due anni prima aveva avversato l’operazione con la quale la vecchia Associazione Calcio Vicenza era stata rilevata dal Lanificio Rossi. Ripercorrendo la stagione, Tadiello riconosce anzitutto la capacità dell’allenatore di operare in corsa alcune modifiche allo schieramento dopo l’incerto esordio, e poi passa in rassegna le varie componenti del “metodo” che ha portato alla vittoria. Un metodo «di attenta scelta degli uomini secondo bene delineati intendimenti tecnici e una fondamentale esigenza morale», con «alla base concetti senza dubbio rivoluzionari nel campo calcistico italiano: e cioè che il giuocatore professionista deve considerarsi alla stregua di un qualsiasi lavoratore (con il vantaggio per lui di una facile popolarità e di molte possibilità e soddisfazioni che agli altri mancano) e come tale deve agire; e ancora che il guadagno (che è più cospicuo di quello degli altri lavoratori) non va inteso come compenso al calciatore, ma esclusivamente come conseguenza diretta e unica della qualità e del rendimento dell’opera da lui prestata. Se non sono rivoluzionari questi concetti, ditelo voi. Rivoluzionari, ma giustissimi». Secondo Tadiello, è merito del presidente Rodolfo Gavazzi, gran capo del Lanificio Rossi, aver fissato «il rapporto calciatore-lavoratore». Di qui un criterio di scelta degli atleti “diverso dal solito”, perché “certamente il fattore tecnico ha avuto la propria parte nei successi ottenuti”, ma non va dimenticata la “radice morale” richiesta ai tesserati: quella dell’impegno costante. Un valore condiviso anche dal vicepresidente, Antonio Roi. Quanto ai collaboratori, l’elogio per Campatelli comprende anche la sua volontà di confermare Berto Menti alla guida delle giovanili a stretto contatto con la prima squadra, e l’ingaggio del preparatore atletico Cesare Garulli, artefice di un “razionale, dosato e continuo lavoro”. C’è anche un consiglio rivolto ai tifosi, in riferimento al calcio mercato: «Cercate nelle tasche di Campatelli e certamente vi rinvenirete un cartoncino (residuo di un pacchetto di sigarette): sulla parte bianca vi troverete scritta già da un paio di mesi la formazione bianco-rossa per il prossimo campionato. Io non l’ho visto, ma ci deve essere». Come fa a saperlo, il buon Tadiello? Semplice: perché così gli accadde l’anno scorso, quando vide Campatelli vergare su un analogo lembo di carta, dall’uno all’undici, i nomi di coloro che effettivamente avrebbero composto la rosa, salvo uno “che non fu possibile acquisire”.

LA COESIONE DELLA SQUADRA. A proposito, e i giocatori? Tutti “vanno uniti nell’elogio, gli anziani e i giovani, i pacifici e i polemici, i sempre contenti e gli insoddisfatti per temperamento; tutti uniti perché la loro prova migliore è stata l’unità d’intenti e la loro vittoria è stata frutto di un insieme”. Lode, dunque, a tutti: “dal capitano Miglioli al vice Giaroli, a Sentimenti IV, Pavinato, Bonci, Moro, Lancioni, Motta, Manzardo, Campana, Vicini, Campagnoli, Testa, Binda, David, Savoini, Prior, Menti, Zoppelletto”. Alcuni di loro, nella pagina finale, esprimono le loro impressioni. Azeglio Vicini, tra l’altro, confessa: “La mia gioia è stata grande ed è stata offuscata, solo in parte, dalla chiamata alle armi (servizio militare, ndr) che mi ha allontanato dalla squadra nel momento più bello”. E Sergio Campana, cui il pittore Gueri da Santomio dedica anche un bel ritratto, spiega: «Il segreto di questo successo sta non solo nella indiscutibile superiorità tecnica palesata dalla nostra squadra sulle avversarie (e non starebbe a noi giocatori dirlo), ma anzitutto nell’entusiasmo e nell’affiatamento generale, che ebbero un peso determinante sull’esito di tutte le nostre battaglie sportive e che ci permisero di volgere a nostro favore situazioni che sembravano ormai compromesse».

Lane 120 continua. Nei prossimi giorni nuove storie e personaggi che hanno scritto la storia del club biancorosso.

Antonio Stefani