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ROBERTO FILIPPI

Le mille corse di Furia motorino tutta grinta

Roberto Filippi
Roberto Filippi
Roberto Filippi
Roberto Filippi

Furia a quei tempi non era solo il cavallo del West della serie tv. Era il soprannome di Roberto Filippi, campione silenzioso, 169 centimetri e pochi chili di nervi, velocità, corsa ma anche di classe e di talento. Era il simbolo di un calcio provinciale che vedeva per la prima volta le luci della ribalta nazionale. Motorino instancabile, che si lanciava in inarrestabili sgroppate sulla fascia, ma riluttante ai riflettori, tanto da rilasciare interviste con il contagocce. Paradigma simbolico del nord est di quel periodo: piccolo faticatore di centrocampo con due polmoni grandi così.

Driiin. Il telefono suona, nessuna risposta. Uno, due, tre tentativi. Un paio di messaggi. Alla fine Filippi richiama. «Guardi, la ringrazio, ma io con il calcio ho chiuso da tempo- spiega in modo garbato- Non ce l’ho con il Giornale di Vicenza, ma proprio non concedo interviste. A nessuno. Non le facevo quando giocavo né tantomeno ora, non fanno per me. Mi hanno cercato anche tv e quotidiani nazionali ma io ho sempre declinato gli inviti». Inutile insistere.

Nato a Padova in una famiglia di operai, cresciuto calcisticamente alla parrocchia della Murialdina, Filippi debuttò con il Chioggia in serie C, segnando 7 reti; si consacrò nella Reggina e nel Padova. Nell’ottobre del 1976 la svolta della sua carriera con il Lanerossi di G.B. Fabbri che portò la squadra in serie A: sul campo acquisì il ruolo di assistman di fiducia di Paolo Rossi. Quella formazione per gli appassionati diventò una filastrocca: Galli, Callioni, Lelj, Guidetti, Prestanti, Carrera, Cerilli, Salvi, Rossi, Faloppa, Filippi. Era il campionato ‘77-78 e la Rai mandava in onda le prime trasmissioni a colori. Filippi era una trottola infaticabile ma con i piedi ben educati, che usava con disinvoltura. Pur correndo in maniera quasi forsennata non sbagliava un passaggio. E se a Vicenza correva per Pablito a Napoli (fu acquistato dagli Azzurri insieme a Cerilli) lo faceva per Savoldi. Già, proprio Savoldi fu protagonista di un aneddoto che dà la misura del suo carattere. Filippi, a storie di calcio, raccontò della prima casa presa in affitto a Napoli. La proprietaria dell’appartamento gli aveva chiesto 700.000 lire al mese per un alloggio ammobiliato in via Petrarca, la strada dove abitavano la maggior parte dei calciatori. «Ma chi crede che sia?», ribatté il piccolo Filippi. E la signora: «Oddio, un calciatore del Napoli». «Io però non sono Savoldi. Vede, Savoldi sta lì (sollevando la mano oltre il suo capo) e io sono soltanto qui (con la mano abbassata al livello della cintura del pantalone)». «Settecentomila lire non le posso assolutamente pagare. Non sono venuto a Napoli per lavorare per lei. Oltre 450.000 lire io non le pago. E, quando torno a Padova, non posso nemmeno dire agli amici che ho dovuto sborsare tanto per una abitazione. Mi riderebbero dietro».

Furia vinse per due anni di fila il Guerin d’Oro, trofeo nazionale voluto dalla rivista calcistica, riservato al miglior giocatore del campionato; ciononostante per lui non arrivò mai la convocazione in Nazionale. In compenso vestì per 200 volte tonde la maglia biancorossa in due diverse occasioni: dal 1976 al 1978 e quattro stagioni dal 1983 al 1987, dopo le esperienze dell’Atalanta e del Cesena. La seconda volta al Vicenza fu quella più amara con il salto in B e la promozione mancata in serie A per via del calcioscommesse. Con il Real Vicenza segnò un solo gol, davanti a 25 mila tifosi adoranti. Era il 16 aprile 1978. Mancavano quattro giornate alla fine di quello straordinario campionato e a Vicenza era di scena il Genoa di Pruzzo e Damiani. Quell’anno avevano segnato tutti, tranne Carrera e, appunto, Filippi. Alla fine arrivò anche la sua rete: era l’8’ del primo tempo; Faloppa lo servì al limite dell’area, lui calciò con tutta la sua forza. Tarocco, il portiere del Genoa, si allungò in tuffo ma non riuscì a intercettare quel pallone che finì nell’angolino basso, mandando in visibilio il Menti.

Furia fu uno dei primi capelloni del calcio italiano. A un certo punto ci aggiunse anche i baffi spioventi, come Gigi Meroni, suo idolo di sempre. Con la maglietta fuori dai pantaloncini non passava inosservato e le sue sgroppate sulla fascia diventarono epiche. Fu anche uno dei primi a cambiare il colore delle scarpette. Nel 1980, infatti, la Diadora si affidò a lui per rompere lo schema. Vestiva la maglia del Napoli e scese in campo con un paio di vistose scarpe completamente bianche. L’impatto fu immediato. L’idea fu riproposta qualche anno più tardi anche per Roberto Baggio che con il Brescia calzò scarponcini azzurri, il colore delle Rondinelle e della Nazionale.

Filippi lasciò il calcio giocato a 39 anni dopo una lunghissima carriera con quasi 600 partire all’attivo (tra A, B e C): un percorso lungo 19 campionati con una media di 30 presenze a stagione. Meno fortunata la sua carriera da allenatore, iniziata a Treviso, poi alla Salernitana come assistente di Gianfranco Bellotto e chiusa al Campodarsego, squadra del paese in cui vive.

Matteo Marcolin