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ALDO CAMPATELLI

In cammino per la serie A

Elegante quando calciava il pallone in campo, elegante quando dirigeva la squadra dalla panchina. Aldo Campatelli, già bandiera dell’Ambrosiana Inter e poi suo capitano nella seconda metà degli anni 40, quando la caduta del fascismo consentì di ripristinare la denominazione originale della società nerazzurra in Internazionale, appunto, ebbe l’occasione di dimostrare le sue doti di allenatore grazie all’opportunità offertagli dal Lanerossi. Mai scommessa fu meglio ripagata, visto che al termine della memorabile stagione 1954-55 i biancorossi si ritrovarono catapultati in serie A, vincendo il campionato di B con 8 punti di distacco dal Padova di Nereo Rocco, ugualmente promossa. Campatelli era arrivato nella stagione precedente, quella iniziata con Fioravante Baldi in panchina e con un certo Azeglio Vicini alla sua prima stagione da giocatore in biancorosso. Si presentò al presidente Rodolfo Giavazzi in giacca e cravatta, com’era suo solito, e accettò di portare a termine il campionato, chiuso a una manciata di punti dalla promozione. Tra l’altro ritrovò il centravanti Quaresima, già suo compagno di squadra per un anno all’Inter, e si mise di buzzo buono per dare subito una svolta vincente alla carriera da allenatore appena iniziata. Ma fu alla metà del 54-55 che successe qualcosa di... soprannaturale. Un giorno andò con la moglie alla basilica di Sant’Antonio a Padova, dove lampeggiavano gli ex voto dei fedeli. Campatelli, nonostante fosse in “casa” di una delle concorrenti più agguerrite per la promozione, promise a se stesso e al Santo che in caso di conquista della serie A da parte dei biancorossi al termine del campionato, lui sarebbe andato a piedi da Vicenza a Padova. Campatelli non era tipo da prendere gli impegni, di qualsivoglia genere, alla leggera. Raccontava Gianni Brera, suo amico e compagni di provini al Milan all’alba del calcio, che fu il primo caso di “scippo” di un giocatore da parte di un procuratore ante litteram del calibro di Bruno Slawitz, che in realtà era un giornalista che pagò di tasca propria per farlo trasferire all’Inter. Altri tempi. «Fu proprio pensando a lui - scrisse Brera su Repubblica nel giorno della morte dell’amico, nel 1984 - che mi venne il neologismo prestipedatore, come dire un calciatore capace di compiere con la palla squisitezze cinesi». Il tratto dell’eleganza spunta anche nel momento di andare a rispettare il voto fatto a metà campionato. La stagione è andata alla meraviglia, il Lanerossi Vicenza arriva al primo posto praticamente indisturbato e l’allenatore ha convinto tutti al punto da indurre Angelo Moratti, che aveva appena rilevato l’Inter da Carlo Masseroni, ad affidargli il timone della squadra nerazzurra per la stagione successiva. Campatelli è al settimo cielo, torna volentieri nella sua Milano ma non dimentica di onorare la promessa fatta davanti a Sant’Antonio. A fine agosto, prima che il campionato cominci, torna a Vicenza e alle 5,30 parte in solitaria nella sua lunga camminata. Il Corriere della sera riferisce nella pagina delle cronache milanesi l’impresa del neo tecnico dell’Inter. «Ha percorso senza alcun accompagnatore - si legge - i trentatré chilometri giungendo con passo ancora elastico e franco alle 12,25 nella piazza del Santo, ove erano ad attenderlo l’allenatore del Padova Nereo Rocco e alcuni giornalisti. Campatelli era in calzoni scuri, maglietta bianca e scarpette da ginnastiche, e reggeva in mano una candela bianca». Non fu l’ultima volta che le strade di Campatelli e del Vicenza si incrociarono. Dopo alterne fortune alla guida di Inter e Bologna, Aldone, come lo chiamava Brera, tornò al Menti nella stagione 1965-66, assoldato da Delio Giacometti. Elegante, come sempre, portò la squadra al 6° posto grazie ai gol di Vinicio, destinato a passare all’Inter, guarda il destino, la stagione successiva. Come allenatore non raggiunse i risultati che le sue capacità, unite a conoscenza calcistica, avrebbero dovuto garantire. Chiuderà la sua avventura da tecnico sulla panchina del Genoa, nel 1969, ma Vicenza gli resterà sempre nel cuore. E quando, vestito di tutto punto, andava con la moglie alle prime della Scala il pensiero andava sempre a quella passeggiata di 33 chilometri a testa alta e col cuore gonfio di orgoglio. Il miracolo del prestipedatore brilla ancora nella storia biancorossa.