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La fabbrica e il pallone

Il tessile entra nel Vicenza e investe sulla squadra

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Prima di Lane Rossi, prima di Pal Zileri, prima di Diesel, vi furono altri “fili” importanti che legarono le maglie del Vicenza al mondo dell’imprenditoria tessile, sia pure indirettamente.

IL COTONIFICIO DEL BARONE ROSSI. Vedi, ad esempio, la presenza dell’imponente Cotonificio Rossi attivo in città dalla fine dell’Ottocento, in quella vasta zona di Borgo Berga oggi occupata dal Tribunale. Affidato alla gestione del barone Gaetano Rossi e del fratello Francesco, figli del capostipite Alessandro fondatore del Lanificio di Schio, lo stabilimento per la produzione di filati e tessuti in cotone e misto-lana era dotato di manodopera prevalentemente femminile e caratterizzato da quel tipico “welfare” aziendale che comprendeva abitazioni per le famiglie operaie, opere di assistenza per le dipendenti in caso di maternità o matrimonio e così via. Cosa che non evitò momenti di rivendicazione sindacale e salariale, come il famoso “sciopero dei tessili” nel 1922. Ebbene, anche lì molte cose cambiarono con l’istituzione dell’Opera Nazionale del Dopolavoro (1925) creata dal regime fascista per organizzare (o irreggimentare) il tempo libero delle masse lavoratrici attraverso servizi sociali e la promozione di attività ludiche di vario genere, da quelle sportive a quelle artistiche, musicali, teatrali, turistiche. È così che al Cotorossi prende avvio la filodrammatica “Ars et Labor” diretta da Primo Piovesan che, a differenza delle compagnie parrocchiali, può avvalersi di attori-lavoratori di entrambi i sessi. Ovvio che a Borgo Berga sorga anche un campo da calcio, di cui parla Neri Pozza nel suo romanzo “Comedia familiare” rievocando le accese partite di metà anni Venti tra le formazioni giovanili beriche dell’epoca, squadre di nome Gloria, Savoia, Fides, Libertas e la Littorio, che pretendeva di giocare solo sul terreno del Cotorossi e mai su quello dei Ferrovieri, assai malandato e considerato pure un covo di “bolscevichi”. Ecco la descrizione di Pozza: “Superata la passerella sul Bacchiglione, i giocatori si trovavano in mezzo ai prati e agli alberi. Era quello un campo di calcio ideale, con un bel fondo cretoso, l’erba già nata, i gelsi allineati lungo i fossi”. Ebbene: tornei di ragazzi a parte, quello diventa il rettangolo dove giostra soprattutto la Società Circolo Cotonificio Rossi, squadra dopolavoristica iscritta nel campionato regionale di Terza Divisione 1926-1927 assieme a Thiene, Schio, Bassano. Disputerà un paio di campionati con discreti risultati e poi, nel 1928, a fine stagione verrà incorporata, guarda caso, nell’Associazione Calcio Vicenza.

IL CANAPIFICIO DEI MARCHESI ROI. Quel 1928 non è un anno qualsiasi: è infatti allora che assume la presidenza dell’ACIVI, appena ventiduenne, il marchese Antonio Roi, destinato a passare alla storia come il più grande mecenate che la storia biancorossa ricordi. Quali risorse economiche gli consentano tanta generosità ci porta a citare un altro “filo” importante: quello del Canapificio Roi di Cavazzale. Tra gli analoghi stabilimenti fondati da Giuseppe Roi (1828-1889) con l’importazione di telai svizzeri e inglesi, cioè a Vicenza (alle Chioare), a Vivaro e a Debba, che daranno lavoro fino a un migliaio di operaie e operai, quello sorto sulle rive dell’Astichello nel 1875 diverrà il più importante del Veneto, coprendo tutte le fasi della lavorazione, dall’approvvigionamento della materia prima (proveniente in gran parte da terreni acquisiti nel Ferrarese) fino alla tessitura, producendo ed esportando tessuti per la casa (lenzuola, tende, tovaglie, asciugamani – quei teli quadrati detti in dialetto “canevàsse”), spaghi per scarpe, reti da pesca, vele nautiche, teloni per camion. Anche lì a Cavazzale, e proseguendo l’opera paterna, il figlio Giuseppe realizzerà - sul modello di “città sociale” voluto a Schio da Alessandro Rossi e a Valdagno da Gaetano Marzotto - tutta una serie di strutture e servizi per i lavoratori, dall’edilizia all’assistenza per mamme e figli, fino al teatro per il dopolavoro. E sarà grazie a tale opera verso le classi meno abbienti che, nel 1901, i Roi otterranno da papa Leone XII il rango nobiliare di “marchesi”.

IL NOBILUOMO E I POPOLANI. Tra i figli nati dal matrimonio (1888) di Giuseppe Roi junior con Teresa Fogazzaro, primogenita dello scrittore Antonio e di Margherita Valmarana, nel 1906 vedrà la luce Antonio, ovvero colui che declinerà la vocazione filantropica della famiglia in favore dell’Associazione Calcio Vicenza. Nel 1928, quando il giovane rampollo diventa presidente dell’ACIVI, la squadra gioca nel campo di Borgo San Felice, rimasto nella memoria per le zolle ricoperte dalla “carbonella” sprigionata dalla vicina linea dei treni attraverso il quartiere dei Ferrovieri, ma anche per il ruvido fondo derivato dai terreni di riporto della non distante “ferriera” Beltrame e della Montecatini. Nonostante il venticinquennale blasone, la squadra vivacchia in Seconda Divisione, sorta di serie C2, con striminzite risorse finanziarie, specie da quando (1926) il calcio è stato diviso in professionisti e dilettanti. Il Fascio locale, concentrato sui Dopolavoro, non s’interessa granché delle sorti del club. Come ricorda il memorialista Walter Stefani, “il tifo per i ‘torelli biancorossi’ era sostenuto prevalentemente da sparute schiere di appassionati provenienti dalla classe medio-popolare cittadina. Gli appassionati che, nelle domeniche calcistiche, si assiepavano attorno al minuscolo e spelacchiato rettangolo di San Felice erano in prevalenza artigiani, operai, commercianti e studenti. Benestanti, piccoli industriali e professionisti (oltre ai gerarchi) prendevano invece posto nella tribunetta di legno sotto cui stavano gli spogliatoi. In sostanza, si può dire che i frequentatori si conoscessero un po’ tutti, anche perché molti sostavano dentro la tipica Birraria Sartea (nel giardinetto esterno, durante la buona stagione) posta all’ingresso del campo di calcio. Negli altri giorni della settimana, dentro osterie, ‘saloni’ di barbiere, caffè, negozi e officine si disquisiva sulle imprese dei vari giocatori, ragazzi che si potevano comunemente incontrare in botteghe, laboratori, uffici, o a scuola. Vivere solo di calcio a quei tempi, almeno a Vicenza, era cosa impensabile”. Insomma, serve qualcuno che risollevi le sorti. E quel qualcuno si materializza, appunto, nella figura di Antonio Roi, che col fratello Gino attende all’attività del Canapificio di famiglia dividendosi tra lo stabilimento di Cavazzale e la sede legale a Vicenza città, in Contrà San Marco, nonché ai terreni e ai vigneti della villa di Montegalda, in precedenza Fogazzaro. Cosa lo spinga a presiedere l’ACIVI resta un mistero, forse spiegabile da un lato col contagio dell’entusiasmo sportivo giovanile e popolaresco che prova lì, nei match cui assiste, e dall’altro col desiderio di dare una mano a quella che è ormai diventata una delle istituzioni locali. E così, invece di metter su famiglia, da scapolone irriducibile sposa la causa biancorossa, iniettandovi non solo denaro ma anche lungimiranti idee manageriali, che magari gli vengono in mente mentre compie i suoi mattutini giri di corsa (da antesignano del footing) proprio sull’anello del campo di San Felice. In che modo, è presto detto: recuperando giocatori andati in prestito altrove, dando impulso al vivaio, cedendo qualche elemento di pregio. Una politica che darà i suoi frutti, visto che col campionato 1929-1930 il Vicenza sarà largamente promosso in Prima Divisione. In più, organizza una rete di osservatori che, si dice, girano per i campetti di calcio con un libretto di assegni firmati in bianco. Assegni che non vengono nemmeno registrati nei registri contabili della società: è munificenza del presidente, e basta.

ARRIVA ANCHE IL CONTE. In questo lavoro il marchese non è solo, sa attorniarsi di capaci collaboratori. E inoltre riesce a coinvolgere nell’avventura un cugino col quale ama scambiarsi battute sui reciproci quarti di nobiltà, il conte Tommaso Valmarana. Altro aristocratico, quest’ultimo, di grande altruismo, tant’è che patrocinerà la nascita dei Donatori di Sangue e dell’Unitalsi, della sezione del CAI (da alpinista appassionato), del Tennis Club, del Teatrino di Santa Chiara. E a Tommaso, futuro notaio nonché fratello del Giustino che sarà senatore alla Costituente, il cugino Antonio affida il compito – più le risorse – per occuparsi del settore giovanile, una “cantera” nostrana cui verrà dato il nome di “Palladio”. Tale incarico viene ufficializzato nel 1931, quando Roi passa la presidenza a Pio Vasco Barbieri e Valmarana è nominato tra i consiglieri. Ma anche il conte Tommaso diventerà presidente dell’ACIVI, nel 1934. Negli anni successivi, saranno ancora molte le stagioni in cui “il marchese dottor Antonio” manterrà la sua ala protettiva sul Vicenza.

Lane 120 continua. Nei prossimi giorni nuove storie e personaggi che hanno scritto la storia del club biancorosso

Antonio Stefani