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ERBSTEIN IL RIVOLUZIONARIO

Il mito nato a Vicenza

«Mia madre Jolanda non voleva che papà lasciasse Vicenza per andare a giocare negli Stati Uniti; non foss’altro perché in una notte di treno dalla vostra città raggiungeva la sua amata Budapest». Susanna Egri ha 95 anni. E’ lucida, ha la voce squillante e sembra non sentire il peso dell’età. Ballerina e coreografa di fama internazionale, nel 1946 fondò a Torino il Centro Studio della Danza (uno dei primi in Italia) partecipando a spettacoli televisivi e teatrali. E’ la figlia di Erno Egri Erbstein, un’icona della storia del calcio, capace di vincere da allenatore tre scudetti di fila con il Grande Torino. Giocò anche nel Vicenza quando militava in seconda divisione (nel 1925-1926), disputando 28 partite tra amichevoli e gare di campionato e siglando 2 reti. Susanna, di suo padre, ha migliaia di ricordi. Difficile metterli tutti in fila: Vicenza rappresenta solo una tappa del suo percorso. La storia di Erbstein, infatti, è degna di una trama di un film. Piena di imprese, colpi di scena, trionfi ma dal finale mesto. Di quelli che ti lasciano l’amaro in bocca. Erbstein perse la vita a Superga quando l’aereo su cui viaggiava il Torino da lui allenato, dopo un’amichevole a Lisbona, si schiantò contro il poderoso bastione della Basilica piemontese. Nove giorni dopo sarebbe stato il suo cinquantunesimo compleanno.

LA CARRIERA. Come detto la carriera fu costellata di successi ma anche di molte tribolazioni. Colpa delle leggi razziali emesse contro gli ebrei. Erbstein, infatti, discendeva da una famiglia ebraica: per questo nel 1939, nel tentativo di salvare la moglie Jolanda e le figlie Susanna e Martha, cercò riparo in Olanda ma venne respinto dai gendarmi nazisti alla dogana di Nijmegen, trovando alla fine salvezza a Budapest. Non fu sufficiente per evitare di essere internato in un campo lavoro finalizzato alla costruzione di strade e ferrovie, ma scampò comunque alle prime ondate di deportazioni. Nato in Romania nel 1898, si trasferì nei primi anni del novecento con la famiglia a Budapest dove si laureò in educazione fisica. Era questo uno dei suoi punti di forza: fu uno dei primi ad approfondire e studiare le metodiche di allenamento, l’apparato motorio e le nozioni di dietetica applicate all’attività sportiva. I suoi allenamenti erano intensi, avveniristici, meticolosi e scientifici: erano molto seguiti dagli addetti ai lavori che volevano “copiarli”. «Mio padre però aveva anche una profonda cultura umanistica - ricorda ancora la figlia Susanna - che gli serviva a consolidare i rapporti umani dentro e fuori dal campo». Nel frattempo giocò per diverse stagioni nella squadra della capitale il Budapesti Atle’tikai Klus, fino ad approdare nel 1924 all’Olympia Fiume. A Vicenza rimase una sola stagione prima di trasferirsi negli Stati Uniti negli Brooklyn Wanderers dove terminò la carriera da giocatore. Con la maglia biancorossa debuttò il 6 settembre del 1925 in una gara pareggiata per 2-2 con lo Schio al campo Sartea.

L’ESORDIO IN BIANCOROSSO. L’esordio in campionato fu il 4 ottobre a Gorizia quando il Vicenza subì una sonora sconfitta per 3-0. La prima rete venne siglata il primo novembre in una gara vinta per 5 a 1 contro l’Olimpia Treviso (Erbstein aprì le marcature). L’altro gol reperibile negli annali risale al 15 novembre, quando i biancorossi giocarono in casa contro il Monfalcone: fu proprio lui al 70’ a regalare la vittoria al Vicenza che si impose per 3-2 (le altre reti beriche furono firmate da Bortolotto e Beria). L’ultima gara a Vicenza risale invece al 23 maggio 1926 (un’amichevole contro la Spal). Oggi gli esperti di tattica lo definirebbero centromediano metodista. Uno di quei giocatori alla Pirlo, metronomo di centrocampo, capaci di dettare i tempi alla squadra.

GAMBA E FIORETTO. Erbstein era uno che colpiva con il fioretto ma che non si tirava indietro neanche quando c’era da metterci la gamba. Si trattava di caratteristiche che mantenne quando iniziò ad allenare; collezionò numerosi record: nel 1947-1948, ad esempio, concluse la stagione con 125 gol segnati, 10 dei quali in un memorabile Torino-Alessandria del 2 maggio 1948. Era un allenatore avanti di trent’anni rispetto a quei tempi, tanto da raccogliere come tecnico i suoi migliori successi: vinse due campionati di prima divisione con il Cagliari nel 1931 e con la Lucchese nel 1934, uno di serie B sempre con la squadra toscana fino ai successi con il Grande Torino con cui si aggiudicò tre titoli consecutivi (1947, 1948 e 1949). La sua abilità era riconosciuta da tutti, tanto da fargli guadagnare sul campo il soprannome di “Napoleone della panchina” e da saper scovare talenti come Valentino Mazzola. A Nocera Inferiore, dove allenò, gli titolarono pure una strada. «Sapeva farsi ben volere non solo dai suoi giocatori ma anche dai tifosi e dalla gente comune», conclude Susanna. Ancora oggi viene ricordato come uno dei pionieri del calcio moderno.

Lane 120 continua. Nei prossimi giorni nuove storie e personaggi che hanno scritto la storia del club biancorosso