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enzo scaini

Il gigante buono che amava i puzzle

Enzo Scaini
Enzo Scaini
Enzo Scaini
Enzo Scaini

Lo soprannominavano il “gigante buono”. In effetti lo era. Nonostante i suoi 188 cm d’altezza, non avrebbe fatto male a una mosca. Dovunque aveva giocato, Enzo Scaini aveva lasciato un buon ricordo. Mancino “razza Piave” di quantità e qualità, era dotato d’un potente tiro. Tutti gli volevano bene anche perché era uno che non mollava mai: ce la metteva sempre tutta e per la squadra dava l’anima. Lo dimostrò anche a Vicenza, quand’era in forza al Lanerossi del presidente Dario Maraschin, nel girone A dell’allora serie C1, collezionando 11 presenze e segnando 2 reti, entrambe al Menti e su calcio di rigore, contro il Rimini allenato da Arrigo Sacchi e il Treviso di Toto Rondon, prima che una presunta malformazione cardiaca, manifestatasi al termine di un’operazione al ginocchio, lo strappasse al mondo a soli 26 anni e mezzo, il 21 gennaio 1983. Di quel Lanerossi faceva parte Antonio Pistis, allora ventenne attaccante. «Enzo era una persona meravigliosa. Uno dei giocatori più esperti della squadra che ai giovani dava una mano anche nei momenti di difficoltà. Era un leader coi fatti, più che con le parole. Ricordo il ritiro a Recoaro: quando in allenamento si facevano le ripetute si metteva davanti e tirava il gruppo. Un trascinatore. La tragica notizia della sua morte ci giunse nello spogliatoio, al termine d’un allenamento. All’inizio pensammo a un brutto scherzo. Il nostro era un bel gruppo di persone che stavano bene insieme anche fuori dal campo, un bel mix con giocatori di lungo corso e giovani promettenti. Il destino volle che nello spogliatoio fossi proprio io a sistemarmi nel posto che era stato di Enzo». Era un calcio d’altra epoca. «Completamente diverso da adesso: più tecnico, meno veloce, di altri principi morali. I rapporti di amicizia dentro e fuori dal campo contavano ancora molto. A quel tempo s’imparava molto anche per strada: era come una scuola quotidiana in cui ci si esercitava per un miglioramento continuo nei fondamentali. E poi avevamo l’esempio di importanti maestri che costituivano un esempio anche sul piano personale». Un altro uomo-guida in campo, Gianni Bottaro, capitano del Lanerossi 1981-‘82, ricorda: «Dalla mole che possedeva Enzo all’apparenza sembrava un duro, invece era dolcissimo, buono: nel periodo in cui abbiamo giocato insieme, non c’è mai stata una volta in cui l’ho visto arrabbiato. Era veramente così: speciale». Scaini s’era gravemente infortunato il 16 gennaio, in una trasferta a Trento. Rottura dei legamenti del ginocchio, era stata la diagnosi. «Mi opero - aveva detto convinto - il calcio è la mia vita. A 27 anni posso giocare ancora per 4-5 anni...». Aveva scelto d’andare a Roma, dal professor Lamberto Perugia. Dalle prime notizie sembrò che l’intervento fosse andato bene. Subito dopo, successe qualcosa d’impensabile e inaccettabile. A difendere i pali di quel Lanerossi c’era Maurizio Memo, arrivato a Vicenza con un importante bagaglio d’esperienza. «Era impossibile non distinguerne la figura imponente - racconta l’ex portiere - Enzo inoltre correva molto e aveva un tiro potente, esplosivo. Ricordo in proposito le belle sfide tra noi in allenamento. Era una buona mezz’ala, dotato com’era avrebbe potuto giocare tranquillamente anche oggi». A chi poteva essere associato per le caratteristiche? «A Ruud Gullit: osservando l’olandese del Milan rivedevo lui. Sì, anche per i lunghi capelli che portavano entrambi». Come si faceva a vivere senza l’elettronica e i social? «Non esistevano cellulari, né giochi elettronici o cuffie per isolarsi da tutto come adesso, e c’era più disciplina. Nel tragitto in pullman tra l’albergo e il campo doveva esserci silenzio assoluto: se provavamo soltanto ad accendere una radio, gli allenatori s’arrabbiavano di brutto. Quanto alle rose, i tecnici ne avevano a disposizione di più ristrette, ma ce n’erano di veramente capaci nel gestire uomini e situazioni. Il posto in squadra, comunque, te lo guadagnavi soltanto col sacrificio e l’impegno, nulla era scontato o dovuto». Chissà cosa sarebbe stato e cosa avrebbe potuto ancora fare Enzo Scaini, antico ragazzo coi baffoni e la zazzera, amante del jazz scatenato e dei puzzle cui dedicava giornate e serate. Oltre a essersi legato ai colori biancorossi, gli piacevano anche Vicenza e la sua gente: apprezzava il rispetto portato per la vita privata. Un affetto reciproco, senza tempo: a “Scaio”, il gigante buono, nel cuore i tifosi biancorossi non smettono di riservare un posto da titolare.

Saverio Mirijello