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SERGIO CAMPANA

Il bomber con la laurea che fondò l’Assocalciatori

Silenzio. Ricorda l'Avvocato. Sergio Campana è stato uno dei protagonisti assoluti di questo decennio. Arrivato al Lanerossi Vicenza dal Cartigliano nell'estate del 1953, vi è rimasto fino al 1959, per tornarvi nel 1961 dopo una parentesi di due anni al Bologna. L'intervista con lui diventa quindi una vera e propria testimonianza sui gloriosi tempi che furono dall'alto dei suoi quasi 87 anni. Un giovane Sergio Campana al torneo di Viareggio. Il centravanti (foto Pierotti) è stato uno dei pilastri della squadra biancorossa per tanti anni. Una volta appese le scarpe al chiodo si dedicò all'attività sindacale dando vita all'Associazione calciatori. In alto a destra il "filosofo" Manlio Scopigno

È vero che suo padrele permise di fare il calciatore solo a patto che rientrasse a casa a dormire alla sera?

«Sì. E' abbastanza vero. Papà Giuseppe ci teneva che giocassi, ma non voleva che perdessi tempo per lo studio, visto che dopo aver ottenuto la maturità classica mi ero appena iscritto alla facoltà di Giurisprudenza all'università di Padova».

Come arrivò al Vicenza?

«C’era un calciatore del Vicenza, Edoardo Dal Pos, che abitava vicino a casa mia a Bassano. Io giocavo per divertimento a Cartigliano, dopo aver praticato anche altre discipline. Segnavo tanti gol e vinsi pure la classifica marcatori. Lui mi invitò a fare un provino a Vicenza e i dirigenti mi presero».

Il debutto in prima squadra avvenne il 28 febbraio 1954, nel derby casalingo con il Marzotto Valdagno terminato 0-0 in circostanze particolari...

«Stavo disputando il Torneo di Viareggio con Berto Menti. Il giorno prima della finale contro il Real Madrid mi richiamarono e feci il mio esordio per riprendere velocemente la strada verso la Toscana e andare a vincere la sfida contro gli spagnoli. Due partite nel giro di 24 ore, una cosa impensabile al giorno d’oggi. Al ritorno in città trovammo 5 mila persone ad accoglierci fuori dalla stazione, non lo dimenticherò mai. Dopo il bis al Viareggio dell’anno successivo arrivò la promozione in serie A, frutto degli investimenti compiuti in virtù dell’ingresso in società della Lanerossi».

È vero che un allenatore (Andreoli) la riproverò perché stava troppo seduto a studiare?

«Certo. Quando ci si recava in trasferta in treno io tiravo fuori un manuale e preparavo un esame. Lui sosteneva che mi faceva male agli occhi stare così a lungo sui libri. Io gli risposi che succedeva la stessa cosa ai miei compagni che giocavano alle carte tutto il tempo, ma mi replicò che era diverso».

Nel1958 segnò 13 gol,il suo record, mal'estate dell'anno successivo venne ceduto al Bologna, dove ritrovò Mirko Pavinato e conobbe Luis Vinicio. Quali furono le ragioni del trasferimento in terra felsinea?

«C’era anche il Napoli che aveva intavolato una trattativa, ma io preferii andare a Bologna, perché c’era l’università dove avrei potuto terminare gli studi. Ed infatti mi laureai con una tesi sul diritto sportivo».

Come mai rientrò alla base dopo sole due stagioni?

«Perché tutto sommato non è che vivessi solo per giocare a calcio. Mi trovavo bene a Bologna, era un bell’ambiente e quella squadra un paio d’anni dopo avrebbe vinto lo scudetto, ma io ormai avevo raggiunto l’obiettivo di laurearmi. Quindi tornai volentieri a Vicenza, arretrando il mio raggio d'azione nelle ultime stagioni della mia carriera».

Fu lei a convincere Vinicio a venire al Lanerossi…

«Sì. Lui stava per tornare a Belo Horizonte, in Brasile. Gli raccomandai la città e la squadra e lo convinsi».

Che ricordo ha di compagni come Giulio Savoini, Gigi Menti, Giorgio De Marchi, Mirko Pavinato, Franco Luison solo per citare i più noti?

«È tutta gente che ha vissuto il calcio assieme a me: per ognuno di loro avrei tanti aneddoti da raccontare».

Gli scherzi a Luison sono leggenda o verità?

«Lui non conosceva certi termini e io ne approfittavo giocando con le parole. Eravamo molto amici, si scherzava spesso».

E i pranzi con i colleghi del Padova di Nereo Rocco a metà strada?

«Tutto vero. Durante la settimana ci trovavamo a Grisignano di Zocco e poi alla domenica ci si sfidava all’Appiani o al Menti».

Qual è stato il miglior allenatore che ha avuto?

«Manlio Scopigno, che assunse la guida tecnica dopo essere stato il secondo di Roberto Lerici. Ci teneva molto a parlare con me, mi chiedeva pareri su come giocare. Era una persona perbene, con idee molto innovative, che avrebbe messo a frutto poi a Cagliari, vincendo lo storico scudetto del 1970».

Quando le venne l’intuizione storica di fondare l’Associazione Calciatori?

«Avevo appeso le scarpette al chiodo da poco. Il presidente Giussy Farina, subentrato da poco a Delio Giacometti, mi propose di fare il direttore sportivo: io avevo già avuto qualche offerta ma non volevo rimanere nel calcio con quelle mansioni. Tra colleghi si parlava spesso della necessità di trovare qualche via per promuovere la nostra attività, avere qualche tutela. Allora con Giacomo Bulgarelli, Giancarlo De Sisti, Sandro Mazzola Gianni Rivera ed altri prendemmo quella decisione storica in pieno 1968, facendo la nostra piccola-grande rivoluzione. Direi che qualche risultato importante lo abbiamo ottenuto poi!».

Guardando indietro, ha dei rimpianti?

«No. Ho sempre fatto volentieri quello che avevo scelto in quel momento. Mi reco in ufficio quasi ogni giorno e seguo le partite in tv».

La vedremo ancora in tribuna d'onore al Menti, dove è stato ospite fisso per tanti anni?

«Questo non glielo so dire».

Lane 120 continua. Nei prossimi giorni nuove storie e personaggi che hanno scritto la storia del club biancorosso.

Andrea Lazzari