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ZAULI, LUISO E IL SOGNO EUROPEO

Due gol non bastano per fare la storia «Ma dopo quella squadra... il nulla»

Lo vedi 20 anni dopo e ti accorgi che quel doppio Vicenza-Chelsea è fissato nella tua mente come un neurone che resiste ad ogni delusione. Merito di quei ragazzi di Guidolin certo, ma anche soprattutto dell'essenza del calcio, di un passaggio perfetto, di un dribbling riuscito. Chi scrive ha la fortuna di poter dire "io c'ero", in quel Menti che come raccontano i tabellini dell'epoca, contava 19.300 spettatori, stipati, urlanti, sognanti. Insieme abbracciati per qualcosa che rimane irripetibile.
Oggi la chiamano qualità, all'epoca semplicemente "piedi buoni", quelli di Fabio Viviani che dalla trequarti fa un lancio perfetto per Lamberto Zauli, il quale aggancia la palla di destro e quasi sbagliando (ma solo il dio del calcio conosce la verità) supera il difensore per poi dribblare di destro e portarsi la palla sul sinistro che non è il suo piede. E poi calciare la palla con un interno collo che lento lento beffa De Goey sul secondo palo. Ecco che il Menti esplode come una bomba e il fragore di quella gioia - si racconterà - si sente fino alle porte della città.
Piedi buoni si diceva, quella squadra di Guidolin non era solo gruppo, sacrificio, corsa e pressing che neanche Bielsa... Era anche tanta qualità in giocatori chiave scesi in campo quella sera del 2 aprile 1998. C'erano Mendez, Ambrosetti, Luiso, Schenardi, Di Cara e appunto un certo Lamberto Zauli che sarà protagonista anche al ritorno nella tragica sfida dello Stamford Bridge. Zauli, maglia numero 14 la stessa di Cruijff, segnerà al minuto sedicesimo e reggerà la barca per tutta la partita innestando le frecce del Vicenza. Era arrivato al Lanerossi dopo cinque anni al Ravenna, classe pura che ha sempre dovuto fare i conti con una statura da stopper, un metro e 91 di potenza, corsa, chili da mettere in campo e tanta tanta intelligenza calcistica.Nella notte magica di quella vittoria contro i vari Leboeuf, Di Matteo, Vialli, Zola e Duberry, i telecronisti dell'epoca a fine gara si interrogarono come mai, uno come Zauli a 27 anni non giocasse in squadre più blasonate. Erano stati il diesse Sergio Vignoni e il digì Sergio Gasparin a portarlo a Vicenza, scovando il talento di Lamberto e intuendo che nel gioco di Guidolin si poteva inserire da protagonista. E così è stato. Guidolin lo avanza schierandolo dietro a Luiso, punta, ma con il compito di rientrare e fermare i registi avversari. Un trequartista così alto capace di sfidare le leggi della fisica non si è mai più visto, lo chiamavano lo Zidane del Triveneto, ma lui era semplicemente Lamberto, un calciatore che se decideva di accendersi era capace di qualsiasi giocata.

LONDRA Come quella allo Stamford Bridge, il 16 aprile davanti a oltre 32 mila persone. Brividi. Ma ci sono ragazzi che arrivano dalla provincia del calcio che non hanno paura e hanno la faccia tosta di zittire il pubblico, anche se quel gesto porterà una maledetta sfortuna. Il Vicenza in campo nello stadio del Chelsea è trascinato nella prima mezzora di gioco da Zauli e Luiso ed è proprio il Toro di Sora a raccontare quella due giorni londinese, sì perché c'è un pre e un post partita della vita: «C'era grande entusiasmo - racconta Luiso - eravamo come il Milan di adesso, tutti amici, un gruppo forte, con Firmani che ci faceva morire dal ridere con le sue battute. La sera della vigilia siamo andati a fare due passi in centro dove avevamo l'hotel, io, Di Cara, Schenardi e Zauli a fare i turisti per un po' con i tifosi del Vicenza che ci venivano a salutare».
E poi il giorno della gara: «La sera non arrivava mai, poi finalmente arriviamo in quello stadio magnifico e noi che entriamo in campo a testare il manto erboso. Qualche settimana fa guardavo Chelsea-Juventus in tv con mio figlio seduti sul divano... Gli ho detto, "guarda là, in quello stadio papà ha fatto gol"... E chi se lo scorda». Guidolin era sempre sul pezzo, racconta Pasquale: «Non manifestava chissà che gioia, era teso e ci teneva concentrati. La sera prima aveva dato la formazione in hotel, eravamo tutti carichi.
Poi la sera della grande sfida. «Siamo usciti in campo per il riscaldamento e i loro tifosi hanno iniziato a fischiare, io sono sceso in campo per ultimo dopo essermi fasciato la gamba e appena ho messo piede sul prato è partita una bordata di fischi pazzesca contro di me. La mattina tutti i giornali di Londra erano usciti con la mia faccia, i tabloid mi descrivevano come il nemico numero 1 e infatti...». Pasquale Luiso, per la cronaca, è stato l'ultimo capocannoniere della Coppa delle Coppe, 8 reti in sette partite. L'ultima allo Stamford. «Me la ricordo perfettamente. Zauli mi conosceva alla perfezione, capiva i miei movimenti un attimo prima e in quell'occasione ha fatto qualcosa di pazzesco». Lo chiamano "corto-lungo", cioè Zauli rientra a centrocampo eludendo con un dribbling tre centrocampisti e poi lancia di sinistro Luiso entrato in area sulla destra, con lui nelle vicinanze c'era Ambrosetti. «Lascia, lascia, lascia, gli ho gridato prima di tirare. Gol. A quel punto non ho più visto niente, ho pensato solo ai tifosi inglesi che mi avevano fischiato e ho portato il dito alla bocca per zittirli. L'avevo visto fare qualche settimana prima da Batistuta quando la Fiorentina giocò al Camp Nou con il Barcellona. Mi era rimasto impresso... ma alla fine ho capito che quel gesto porta sfiga», ride Luiso.Il sogno si infrange poco dopo, arriva il pari e nel secondo tempo il Chelsea dilaga, Vialli sfrutta la fascia destra dove Viviani fa fatica a coprire un ruolo che non era il suo. Luiso non si da pace nemmeno dopo oltre 20 anni: «Abbiamo pagato l'inesperienza - commenta oggi - e forse bisognava fare dei cambi prima. Si vedeva che Fabio soffriva in quella zona del campo, ci hanno sovrastato. Certo, il mio gol annullato ingiustamente avrebbe cambiato la storia... peccato».

A FINE GARA Il fine partita si consuma tra lacrime e rabbia, lo spogliatoio diventa l'unica zona franca di uno stadio ostile. «Mi ricordo solo che al fischio finale Zola e Vialli sono venuti ad abbracciarmi e che nello spogliatoio o si piangeva o si tiravano pugni al muro e calci ai borsoni. Gli inglesi - come gesto di cortesia - avevano portato un vassoio di paste che si trovava al centro della stanza. Appena l'ho visto l'ho scaraventato sul muro delle docce e ho cominciato a piangere anche io. La notte finì con noi nella hall dell'hotel fino all'alba, nessuno prendeva sonno, volevamo stare insieme anche nella sconfitta». Ha solo una consolazione Pasquale Luiso: «I tifosi hanno ancora la testa rivolta a quell'epoca, per loro ci sono ancora gli Otero, Schenardi, Zauli, ci sono Mimmo, Viviani, Ambrosetti e pure io. Dopo quel gruppo non c'è stato più nulla, con l'unica parentesi del Vicenza di Marino. Poco da fare, dopo di noi il nulla...».

Eugenio Marzotto