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LA SCUOLA UNGHERESE A VICENZA

Dal Danubio al Bacchiglione

Le gesta di coloro che prendono a calci e testate un pallone, immancabilmente, s’intrecciano a fondo con le vicende storiche. È capitato anche al Vicenza e alla sua maglia, difesa da giocatori le cui carriere e vite sono state sporcate pure dalle bassezze umane e attraversate dalle conseguenze di due guerre mondiali. La stagione 1923-24 cade negli anni in cui la scuola calcistica danubiana (viennese e ungherese) è la più in voga: a condurre la squadra retrocessa in III Divisione – 3° livello del calcio nazionale - viene chiamato il magiaro Wilmas Wilheim, all’epoca ancora attivo come giocatore, che a suon di risultati porta un’equilibrata formazione a imporsi nel girone di qualificazione e a vincere nei playoff lo spareggio con la Pro Gorizia, riguadagnando la divisione superiore. Ricoprirà tale ruolo anche nel 1928-1931 e dal 1948 al 1950, subentrando a un altro ungherese, Elemér Berkessy (1° allenatore straniero nella II Lega Pro inglese) che in Italia inizierà la carriera d’allenatore al Vicenza nel 1947-48: una stagione disastrosa sotto il profilo gestionale dei giocatori (postisi già contro di lui dopo aver silurato l’amato d.t. Pietro Spinato). Nel 1924-25 la guida cambia ma resta a trazione ungherese: la squadra è affidata al tecnico Imre János Bekey che fa ingaggiare i connazionali Pál Horwart e Ignác Molnár, giocatori d’alto livello.

IL CAMBIO DI PASSO. Il Vicenza parte lento, poi inanella 6 successi di seguito, nel ritorno perde 4 gare su 8 ma si piazza 1° nel girone D Nord. Agli spareggi per la promozione supera l’Olympia Fiume e affronta l’Udinese in un duello calcistico in cui alla fine prevale. L’Udinese non ci sta e presenta ricorso: lamenta irregolarità nel tesseramento di Horwart e del compagno Molnár, accusati (in particolare il secondo) d’aver giocato incontri da professionisti in patria prima di venire a Vicenza. Condizione non consentita dai regolamenti dell’epoca. Promozione ai friulani, il Vicenza viene penalizzato con un’inversione di posizione in classifica e finisce d’ufficio all’ultimo posto: solo un atto di clemenza federale permette al sodalizio di non scivolare nuovamente giù. Molnár deve però lasciare la squadra per trasferirsi al F.B.C. di Roma, meglio noto come Roman: terminata la carriera in campo otterrà buoni risultati da allenatore in Turchia, Israele e Austria. Nel 1925-26, oltre al tecnico (che allenerà anche il Verona, il Venezia e il Marzotto Valdagno), nella rosa son presenti Horwart e un altro ungherese, Ernest Ernő Erbstein, futuro allenatore amato dai giocatori perché punta sulla disciplina, il perfezionamento della tecnica e la forza del collettivo. Nel 1939, avendone già abbastanza dopo i primi interrogatori degli agenti fascisti, prima di lasciar l’Italia segnalerà Molnár come possibile sostituto alla dirigenza del Toro. Una vita da romanzo: catturato dai nazisti, sopravvissuto alle sevizie e ai ritmi di lavoro impossibili del campo di prigionia, poco prima d’esser caricato sul treno della morte gli riesce una rocambolesca fuga architettata con 5 compagni (tra cui Béla Guttmann). Dovrà però salvarsi ancora dalle Croci Frecciate, coi familiari in Ungheria, poco prima che l’Armata Rossa, nel febbraio 1945, liberi Budapest. Indimenticabile dirigente del Torino, perirà nel rogo di Superga del 1949. Il Vicenza in cui gioca nel 1925-26 finisce 9° e piomba in zona retrocessione: come l’anno prima sarà ripescato grazie alla riorganizzazione del calcio italiano con le revisioni della composizione dei campionati.

I TECNICI. Coi successivi tecnici magiari, dalla discesa nella nuova Serie C la squadra biancorossa si salverà a tavolino con Otto Chrappan (1933-34) tornandovi con József Violak (1934-36) e restandoci con András Kuttik (1937-39). Tra gli uomini di religione ebraica del Vicenza, un posto speciale resterà sempre riservato all’istrionico allenatore Béla Guttmann (1955-56). La Shoah gli ha distrutto la famiglia e lui è riuscito miracolosamente a salvarsi (“Fu Dio a salvarmi”, scriverà nell’autobiografia uscita nel 1964). Giramondo, ricco di contraddizioni, sempre a caccia d’esperienze stimolanti, alle indubbie qualità tecniche unisce un carattere vulcanico e risoluto che gli costerà esoneri e clamorosi allontanamenti. Cresciuto nel raffinato calcio sorto sulle rive del Danubio, detto Donaufussball, lo traduce nel gioco palla a terra, i passaggi rapidi e corti, il dominio degli spazi con l’idea che l’attacco conti più della difesa e che al pubblico, oltre ai risultati, bisogna offrire spettacolo.

Lane 120 continua. Nei prossimi giorni nuove storie e personaggi che hanno scritto la storia del club biancorosso.