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L’AZZURRO

Bernardo Perin. Pane e dribbling

In piazza Malpighi, nel centro di Bologna, sorge a pochi passi dall’abside della chiesa di San Francesco un edificio porticato, sulla cui facciata color ocra ancora si distingue l’ombra di una vecchia insegna a vernice. Solo in pochi si soffermano a decifrare la scritta, che assicura come lì sorgesse una bottega di fornaio, e fra quei pochi saremo al massimo dieci o dodici a sapere in che senso quelle mura custodiscono una storia che lega Vicenza al capoluogo d’Emilia, ed entrambe le città alla storia del calcio italiano.

PIAZZA MALASPINA. Nell’autunno 1919 Bernardo Perin andava per i ventidue anni e poteva pensare a se stesso come a un uomo fortunato era appena arrivato dal Modena a Bologna e la squadra rosso blu per averlo gli diede quel forno in piazza Malaspina che gli garantiva il futuro. La mattina presto alzava la saracinesca del forno di piazza Malpighi sul quale spiccava l’insegna col suo nome, impastava il pane, lo metteva a cuocere e intanto tirava la sfoglia per le tagliatelle. Quando il negozio apriva i battenti, passava dietro il bancone e serviva i clienti fino alle 13, quindi, sbocconcellando il frutto del suo lavoro, si avviava verso le Due Torri, e da lì per piazza Santo Stefano e la via omonima; passato il cassero della porta, bastavano altri dieci minuti di buon passo per raggiungere il campo del Bologna e darci dentro con gli allenamenti.

LO STERLINO. Il terreno di gioco dello Sterlino era uno dei più singolari d’Italia: ricavato ai piedi dei Colli, in un lembo estremo del parco di proprietà dei conti Hercolani, sviluppava in netta pendenza, e la squadra di casa ne sfruttava l’asimmetria modulando il proprio gioco all’insegna del risparmio quando le toccava attaccare in salita, per scatenarsi nelle cariche collettive quando invece giocava in discesa. Il pubblico, alloggiato prima della guerra in una singola tribuna a ridosso del campo, era caldo e numeroso, tanto che all’inizio del nuovo decennio si dovette provvedere a erigere una nuova tribuna e due gradinate popolari. Al successo del calcio a Bologna, Perin contribuì da primattore, esaltando la piazza con i suoi ripetuti dribbling, i passaggi illuminanti per Geppe Della Valle e un’ottima precisione sottoporta - 13 reti il primo anno, 10 il secondo, in tornei che non prevedevano più di partite - imponendosi come uno degli attaccanti emergenti del torneo; il grande Bruno Roghi lodò lo “sfavillio delle sue fantasie in campo e l'eleganza delle sue serpentine”, e suggestionato dalla sua silhouette snella gli appioppò un soprannome che non sarebbe certo piaciuto a Guido Ara: “la Signorina”. Nel 1919-20 al suo primo campionato i Petroniani chiusero da vincitori imbattuti il girone emiliano, e nella stagione successiva, segnata da un torneo-monstre aperto a 88 squadre, il Bologna non solo ripeté l’impresa nel girone locale, ma si levò lo sfizio di distruggere il Modena per 10-1 nella finale emiliana, quindi si aggiudicò da imbattuta anche il torneo di semifinale, mandando a casa il favorito Genoa e il Milan. La corsa di Perin e compagni si arrestò soltanto nella finale del torneo settentrionale, disputato a Livorno contro la titolatissima Pro Vercelli. L’exploit del Bologna, mai così vicino al titolo, valse a Perin la convocazione in azzurro; tra il 1921 e il 1923, infatti, il fornaio di Arcugnago si levò la soddisfazione di giocare quattro volte in Nazionale accanto a leggende come "il Figlio di Dio” De Vecchi, l’interista Cevenini, terzo d’una dinastia di cinque fratelli, e Adolfo Baloncieri, il primo vero fuoriclasse del calcio italiano. La sua carriera con la maglia rosso blu dei pionieri felsinei andava di pari passo con il suo lavoro di fornaio. Era da poco iniziato il maggio 1927 e Perin si si levò lo sfizio di chiudere l’epoca dello Sterlino con due gol identici - “in rovesciata a volo” - nel 3-0 all’Inter col quale il Bologna si congedò dal suo stadio storico. Galvanizzato da quei successi ottenuti a trent’anni passati, si concesse un’ultima stagione - la prima della Serie A a girone unico(1929-30) - accanto a quelli che sarebbero diventati i pilastri della formazione classica rossoblù, a cominciare dalla bandiera Schiavio, futuro centrattacco della nazionale campione del mondo nel 1934. A quel punto Perin, con la dignità del pioniere, appese le scarpe bullonate al chiodo e lasciò campo ad altri. Chiuse la carriera in rossoblù con 210 presenze e 75 reti, un ruolino di servizio che gli vale ancor oggi un posto d’onore fra i marcatori del Bologna di tutti i tempi.

LA SUA BOTTEGA. Si diede a un felice esilio nella sua bottega, divenuta punto di ritrovo abituale dei tifosi rossoblù, e da dietro il bancone non rinunciava a dire la sua sul “calcio moderno” del Secondo dopoguerra, che giudicava troppo molle rispetto a quello dei suoi tempi; la sua figura elegante e il suo contegno cordiale tennero compagnia ai bolognesi - ormai divenuti 400.000, il doppio rispetto al suo arrivo in città - fino alla prima metà degli anni Sessanta. Dopo avere tanto sperato in un nuovo successo del Bologna, a digiuno di vittorie da ventitré anni, Bernardo Perin si spense nella primavera del 1964, appena cinquanta giorni prima dello spareggio che vide i Rossoblù di Bulgarelli e Pascutti prevalere sull’Inter di Corso e Mazzola. Qualcuno trovò che il destino era stato avaro nel negargli quell’ultima soddisfazione, ma noi sentimentali preferiamo pensare che il settimo Scudetto del Bologna sia stato un omaggio ai suoi primi protagonisti, i ragazzi nati tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del “Secolo breve”, che avevano dovuto lavorare per potersi permettere di giocare a pallone, eppure non ci avevano messo meno ardore rispetto ai loro epigoni professionisti, né erano stati meno felici nell’abbracciarsi dopo una vittoria.

© Enrico Brizzi 2021 Pubblicato in accordo con MalaTesta Literary Agency