<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Denatalità

Un Paese che diventa sempre più anziano

In Italia è piena emergenza demografica: negli ultimi anni la denatalità si è ulteriormente accentuata e il nostro Paese corre verso una società sempre più anziana, con tutte le problematiche economiche e sociali del caso.

L’ultimo report dell’Istat, pubblicato a dicembre 2022 anche se riferito ai dati 2021, non ammette dubbi: nel nostro Paese le nascite della popolazione residente sono state 400.249, circa 4.500 in meno rispetto al 2020 (-1,1%), facendo segnare un nuovo record negativo di denatalità e accelerando una tendenza che dal 2008 ha visto le nascite diminuire di 176.410 unità (-30,6%).
Si tratta di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti strutturali indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette baby-boomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) sono quasi del tutto uscite dall’età in cui si hanno figli; dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995 che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995.
Nel complesso, a diminuire sono soprattutto le nascite all’interno del matrimonio, pari a 240.428, quasi 20 mila in meno rispetto al 2020 e 223 mila in meno nel confronto con il 2008 (-48,2%). Ciò è dovuto innanzitutto al forte calo dei matrimoni, che si è protratto fino al 2014 (con 189.765 eventi a fronte dei 246.613 del 2008) per poi proseguire con un andamento altalenante. A ciò va aggiunto che nel 2020 la pandemia ha indotto molte persone a rinviare o a rinunciare alle nozze al punto da sì che il numero dei matrimoni si sia pressoché dimezzato (-47,4%).
E la denatalità sembra destinata a proseguire nel 2022. Secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-settembre, le nascite sono diminuite di 6 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2021, poco più della metà di quanto osservato nei mesi gennaio-settembre del 2021 nel confronto con gli stressi nove mesi del 2020 allorché i concepimenti si sono significativamente ridotti a causa degli effetti delle ondate pandemiche.

Sempre meno primi figli

Nel 2021 i primi figli ammontano a 186.485, il 46,6% del totale dei nati. La fase di calo della natalità avviatasi nel 2008 ha portato a una progressiva contrazione dei primogeniti che sono il 2,9% in meno sul 2020 (-5.657) e il 34,5% in meno sul 2008. Nello stesso arco temporale i figli di ordine successivo al primo sono diminuiti del 26,8%. La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree del Paese – ad eccezione della Provincia autonoma di Bolzano che presenta un lieve aumento – ed è superiore a quella riferita a tutti gli ordini di nascita in quasi tutte le regioni italiane del Nord e del Centro. Tale fenomeno testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli; problematica diversa rispetto all’inizio del millennio quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio. Al Centro spetta il primato della denatalità complessiva (-34,3%) e dei nati del primo ordine (-38,2%), con l’Umbria che presenta la diminuzione più accentuata (-36,7% nel complesso e -40,5% per il primo ordine). Anche le regioni del Nord registrano diminuzioni significative, con il calo maggiore in Valle d’Aosta (-42,6% nel complesso e -48,4% per il primo ordine). La minore denatalità, che resta comunque di assoluto rilievo, si registra nelle Isole (-28,2% per il totale dei nati e -29,8% sul primo ordine) soprattutto per le nascite della Sicilia (-25,3% sul totale e -27,0% per i primi figli). In tutte le regioni la denatalità dei primi figli è maggiore di quella complessiva, ad eccezione di Molise, Puglia e Sardegna. La Provincia Autonoma di Bolzano è l’unica in cui la natalità complessiva si riduce dal 2008 (-5,3%) ma i primi figli aumentano (+0,7%). Tra le cause del calo dei primi figli vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale.

Forte impatto della pandemia sulle nascite

La discesa marcata delle nascite osservata nel bimestre novembre-dicembre 2020 (-9,5% rispetto allo stesso periodo del 2019) è proseguita nei primi mesi del 2021, evidenziando a gennaio il più ampio calo mai registrato (-13,2%) e lasciando ben pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra fine 2020 e inizio 2021 è infatti riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica. Complessivamente, nei primi dieci mesi del 2021 il trend è lievemente decrescente rispetto allo stesso periodo pre-pandemico dell’anno precedente (-3,3%), con l’eccezione di una lieve ripresa nella primavera (+4,9% a marzo e 1,5% ad aprile) dovuta ai nati concepiti durante la fase di transizione tra le due ondate epidemiche del 2020. Nell’ultimo bimestre del 2021 si verifica un aumento delle nascite (+10,6%) che evidenzia un recupero rispetto al crollo innescato dalla pandemia (+7,0% a novembre e + 14,3% a dicembre), dovuto in misura sostanziale ai nati da genitori non coniugati (+20,4%), da genitori entrambi italiani (+11,2%) e da madri con 35 anni e più (+19,5%). Nel 2022, considerando i dati provvisori dei primi nove mesi, si registra un calo del 2,2%. Rispetto alla situazione pre-pandemica riferita alle nascite, i primi dieci mesi del 2021 mostrano un calo particolarmente evidente dei nati all’interno del matrimonio (-9,6%), da genitori stranieri (-6,9%) e di quelli con madri con meno di 35 anni (-4,3%). In controtendenza rispetto al calo generalizzato, i nati fuori dal matrimonio presentano comunque un aumento (+8,2%).

Nel Vicentino

La crisi demografica - perché di crisi ormai si può parlare - colpisce anche la provincia di Vicenza, come evidenziano i dati elaborati dal Centro Studi Cisl Vicenza che in una recente ricerca ha analizzato i cambiamenti intervenuti negli ultimi 40 anni. Dal 1982 al 2012 la popolazione vicentina è sempre cresciuta, passando da 726.389 unità a 863.323, ma il 2022 fa registrare quasi 10.500 abitanti in meno (852.861). Ma è soprattutto il cambiamento nella composizione per fasce di età a evidenziare come la nostra sia una società sempre più anziana: in 20 anni la fascia d’età under 15 è diminuita, quella tra i 15 e 64 anni è leggermente aumentata e quella over 65 è cresciuta di 60 mila unità. A livello percentuale, gli over 65 sono passati dal 12,2% del 1982 al 22,8%; e ancora, nel 2022 la fascia degli over 65 supera di 9,9 punti quella degli under 15 mentre nel 1982 la fascia degli under 15 era maggiore di quella over 65 di 9,4 punti.

Con questo andamento, che è già scritto essendo basato non su previsioni ma su dati reali, nel 2042 l’Istat prevede che la popolazione a Vicenza sopra i 65 anni sarà un terzo del totale, mentre quella in età lavorativa si ridurrà al 54,7% del totale rispetto al 64,3% del 2022.