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Grandi dimissioni

Il fenomeno interessa anche le lavoratrici

Nel Vicentino
By Athesis Studio

Il termine great resignation è stato utilizzato per la prima volta nel maggio 2021 da Anthony Klotz, professore di Economia alla Scuola di Management dell’Università di Londra, quando previde un imminente esodo di massa dai posti di lavoro. Il ritorno al lavoro in presenza dopo la pandemia ha fatto emergere una serie di esigenze non procrastinabili, e provocato una fuga collettiva da posizioni considerate non più compatibili con la nuova direzione data alla vita quotidiana. Fra le ragioni che spingono i lavoratori post-pandemici a dimettersi e cambiare lavoro si possono ipotizzare la ricerca di un miglioramento nel potere d’acquisto, obiettivi di avanzamento di carriera, l’aspirazione ad ambienti di lavoro ritenuti più stimolanti, la ricerca di orari maggiormente flessibili. D’altro canto il fenomeno può trovare spiegazioni anche in un mercato del lavoro più vivace, dove si sono aperte - dopo il difficile periodo legato alla pandemia mondiale - opportunità occupazionali nuove e interessanti per chi cerca di migliorare la propria posizione. Il great resignation ha da un lato messo in difficoltà le imprese, spesso private all’improvviso di lavoratori e lavoratrici preziosi, ma ha dall’altro incentivato le assunzioni e la domanda di nuovi profili. Il fenomeno obbliga a profondi cambiamenti nella gestione del work-life balance da parte di lavoratori e imprese, insieme con una ridefinizione degli spazi di lavoro, delle funzioni, e del generale riequilibrio del rapporto impresa-lavoratore.

Nel II trimestre 2022 si contano in provincia di Vicenza 58.690 cessazioni di contratti di lavoro, con un incremento del +32,0% rispetto all’analogo periodo del 2021 e del +19,6% nel confronto con il II trimestre 2019. Sale in modo particolare l’incidenza delle dimissioni volontarie, precisamente da 31,0% nel 2019 a 36,8% nel 2022, ovvero da 15.220 a 21.585. La situazione interessa anche le lavoratrici: nel II trimestre 2022 si registrano 28.165 cessazioni, di cui il 31,2% dovute a dimissioni volontarie, che erano il 25,4% nello stesso periodo del 2019. Le dimissioni volontarie femminili conoscono inoltre un’impennata, passando precisamente da 5.845 a 8.780 e aumentando quindi del +40,5% dal 2021 e del +23,3% dal 2019. Aumenta del +9,4% anche il totale delle cessazioni per fine termine (+13,2% per le donne) ma ne diminuisce l’incidenza, che passa da 55,4% a 50,7% in linea generale e da 62,2% a 57,1% per le lavoratrici. Infine, se il contratto a tempo indeterminato non è più garanzia del posto fisso, non lo è nemmeno del “lavoratore fisso”. In generale le dimissioni dal tempo indeterminato sono salite del +46,1% dal 2019 e del +30,9% solo su base annua, segno che le avvisaglie delle grandi dimissioni si erano già manifestate nel 2021, ma che il fenomeno era stato ritardato dal perdurare dell’incertezza della pandemia, per poi esplodere nell’ultimo periodo. Le donne che hanno dato le dimissioni da un tempo indeterminato sono 5.235, pari al 69,1% del totale delle cessazioni femminili. Le dimissioni femminili dal tempo indeterminato sono schizzate del +63,1% dal II trimestre 2019, del +42,4% su base annua.

Per ciò che concerne i profili professionali, il maggior numero di cessazioni si riscontra fra gli impiegati e gli operai. Le cessazioni degli impiegati nel II trimestre 2022 ammontano a 6.430 ossia +29,2% dal 2019. Di questi, quasi metà ha dato le dimissioni. 3.960 sono le cessazioni femminili fra gli impiegati, e anche in questo caso quasi la metà è costituita da dimissioni volontarie, le quali sono aumentate del +48,2% dal 2019. Relativamente alle cessazioni per fine termine, le quote sul totale di maschi e femmine si equivalgono e in entrambi i casi diminuiscono nel tempo.

Nel II trimestre 2022 le cessazioni degli operai sono state 18.415, con un aumento di quasi il 30% in ragione di anno. Fra questi, il 42,8% ha dato le dimissioni e il 43,2% ha cessato il contratto per fine termine. L’incidenza delle dimissioni volontarie è però salita da 35,6% a 42,8% appunto, mentre quella del fine termine è scesa da 48,7% a 43,2%. Nel caso delle operaie, l’incremento delle cessazioni dal 2021 è di molto maggiore rispetto ai colleghi e raggiunge il +44,2%. Le dimissioni pesano per un terzo, ma sono cresciute del +57,4% dal 2021, e di un clamoroso +100,0% dal 2019, ma presumibilmente molte sono rimaste nel mondo del lavoro.