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MARIANO CORSOOSSERVATORIO SMART WORKING DEL POLITECNICO DI MILANO

«Non si tornerà a lavorare come prima. Si farà tesoro dell'esperienza ripensando i processi e le modalità di lavoro»

Lo smart working è stato uno dei protagonisti delle vite di tanti, in quest’anno sospeso. Lo rimarrà anche una volta che l’emergenza sanitaria sarà finalmente alle spalle o ci sarà un ritorno agli scenari più tradizionali? Nel prossimo futuro sarà importante capire se i veloci cambiamenti che la “digitalizzazione da pandemia” ha impresso all’organizzazione del lavoro si dimostreranno strutturali e a quale velocità viaggeranno. Una delle persone più titolate a sviluppare queste analisi e a interpretarne le dinamiche è Mariano Corso, responsabile scientifico dell'Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano e membro della commissione tecnica dell'Osservatorio nazionale del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche del Dipartimento della funzione pubblica.

Professore, qual è il bilancio di un anno di evoluzione accelerata verso l’adozione del lavoro agile?

Prima della pandemia in Italia lo smart working era già in forte aumento, sia tra le imprese che tra i lavoratori. Eravamo arrivati a 570 mila lavoratori che avevano avuto accesso a questa forma di flessibilità, sul totale di 18 milioni di lavoratori dipendenti, con una crescita del 20% anno su anno. Negli ultimi dodici mesi siamo passati a 5 milioni e mezzo, dunque dieci volte tanto. Di fatto è successo che con la pandemia questo modello di lavoro è stato utilizzato come strumento di resilienza: è stato visto, sia nel pubblico che nel privato, come soluzione per mettere insieme l'esigenza di distanziamento con quella di continuare a erogare i servizi. Per quelle imprese che già avevano sperimentato modalità basate sul lavoro per obiettivi e una maggiore autonomia e responsabilizzazione, è stata anche una grande occasione per mettere a frutto gli investimenti fatti, sia dal punto di vista tecnologico che organizzativo.

Se da un lato è stato un fenomeno forzato dalla necessità, dall'altro come è stato accolto dagli interessati?

I dati del nostro Osservatorio del Politecnico di Milano dimostrano che l'80% dei lavoratori nel privato e il 60% nel pubblico dichiarano di essere riusciti in questo modo a portare avanti tutte le attività del loro lavoro. Sono pochissimi, l'1% nel privato e il 4% nel pubblico, quelli che dicono di non aver potuto lavorare bene. L'evidenza dunque è che si può fare. E che da tanti punti di vista l'efficacia è analoga o in molti casi anche superiore.

È prevedibile che, a pandemia superata, lo smart working resterà come modalità di lavoro diffusa?

Sia le aziende che i lavoratori oggi, alla luce dell'esperienza fatta, dicono che quando potranno tornare a scegliere non riprenderanno a lavorare come prima, ma punteranno a fare tesoro di questa esperienza e a ripensare i processi e le modalità di lavoro, per prendere il meglio sia della presenza fisica sia della possibilità di lavorare in altri luoghi, utilizzando il principio dell'autonomia e dei risultati. In dettaglio, la percentuale di lavoratori che dice che, finita la pandemia, vorrebbe tornare a lavorare in ufficio come prima è pari al 9%, mentre il 25% dice che ha trovato una nuova dimensione e vorrebbe continuare a lavorare sempre da remoto. Poi c'è il 66% che dice che, quando si potrà tornare a scegliere, intende recuperare ciò che di buono consentiva la presenza fisica sul luogo di lavoro, bilanciandola con la possibilità di mettere a frutto le modalità di lavoro nuovo imparate quest'anno. Questo del resto è il vero smart working: quando l'autonomia di scegliere è data al lavoratore in funzione del fatto che si è misurati sugli obiettivi e sui risultati.

Vale anche per le piccole imprese o è presumibile che là dove le dimensioni sono molto più ridotte ci possano essere maggiori resistenze?

Dal punto di vista concettuale i benefici riguardano le imprese di qualsiasi dimensione. In quest’ultimo anno, ad esempio, c’è stata una svolta importantissima negli studi professionali, tanti stanno pensando anche se e come riaprire gli studi, si pensi ad avvocati, commercialisti... gli stessi medici stanno ripensando le modalità di lavoro sul territorio. La piccola e media impresa, soprattutto di settori manifatturieri tradizionali, ha resistenze molto maggiori. In parte legate al settore e quindi indipendenti dalla dimensione: in un'azienda in cui c'è una larga prevalenza di attività manifatturiere operative è ovvio che ci siano dei limiti tecnici nella possibilità di dare una forte discrezionalità. Ma l'elemento di resistenza più forte, in realtà, è di natura culturale manageriale: riguarda la cultura del presenzialismo, la difficoltà di pianificare, di creare un rapporto basato sulla fiducia e sulla professionalizzazione delle competenze, con l’aggiunta di una carenza di digitalizzazione dei processi. Poi certamente ci sono dei settori in cui la svolta è stata radicale e non si tornerà indietro.

La pandemia, insomma, ha enormemente accelerato i fenomeni in atto nel digitale. Cosa prevede che succederà nei prossimi cinque anni reali?

Come detto, siamo passati da 570 mila a 5 milioni e mezzo di lavoratori che fanno uso dello smart working. Questo passaggio va certamente messo in sicurezza in termini di strumenti e cultura, però non c'è dubbio che sia stato un salto quantico, e in futuro riguarderà tutta la popolazione lavorativa che potrà farlo, soprattutto nel mondo dei servizi e, nelle attività manifatturiere, per coloro che si occupano di attività di servizio, penso alle vendite, all'amministrazione, al marketing. Chiamiamoli lavoratori della conoscenza.

Di che percentuale si tratta, rispetto al totale dei 18 milioni di lavoratori dipendenti?

Certamente più dei 5 milioni e mezzo attuali, direi che siamo vicini agli 8 milioni. Dopodiché man mano che la tecnologia andrà avanti, una componente ancora più consistente di lavoratori comincerà ad avere un grado di libertà sempre maggiore. Penso alla manutenzione, ma anche ai servizi; nel retail, ad esempio, c'è un progressivo cambiamento dei processi della distribuzione, destinato a portare a un passaggio dai canali fisici ai canali digitali; ma nel contempo questo maggiore utilizzo di strumenti digitali permetterà di realizzare una maggiore efficienza anche nei canali fisici.

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Stefano Tomasoni