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LUCA VETTORATO RESPONSABILE AREA ADVISORY E INNOVAZIONE DELL'ASSOCIAZIONE

«C'è la grande opportunità di far evolvere l'azienda verso innovazione digitale e transizione ecologica»

Bene puntare sui nuovi strumenti digitali, anzi benissimo. Ma attenzione a non credere che sia tutto lì, perché insieme a questo le aziende, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, devono anche rivedere e far evolvere nel complesso il proprio modello operativo di business. Devono cambiare non soltanto le tecnologie, ma anche i modi di pensare e di organizzare il lavoro. È questo il messaggio di fondo che lancia Luca Vettorato, responsabile Area advisory e innovazione di Cna Veneto Ovest,

Cosa è cambiato, dal vostro osservatorio, nell’atteggiamento delle piccole aziende nei confronti della trasformazione tecnologica dopo lo spartiacque drammatico di questo virus?

La pandemia è stata sicuramente un forte acceleratore della digitalizzazione. Molte aziende prima ritenevano la trasformazione digitale un investimento necessario, ma rimandabile e non prioritario, poi il lockdown dell’anno scorso e la necessità improvvisa di adeguare tutti gli assetti organizzativi delle aziende hanno reso evidente quanto sia fondamentale il ricorso a strumenti e competenze digitali. La vera innovazione, però, nasce non soltanto dagli strumenti digitali, ma anche dal ripensamento dei modelli di business tradizionali: non ha senso traslare in digitale quello che quotidianamente facciamo in modo tradizionale, bisogna agire fortemente sull’introduzione di nuovi approcci operativi all’interno della propria organizzazione, diffondendo cultura digitale nella propria forza lavoro.

Il governo ha messo in campo il Piano nazionale di ripresa e resilienza da presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, e il Piano Transizione 4.0 per gli investimenti digitali. Qual è il vostro giudizio su questi provvedimenti?

C’è una serie di buoni approcci al tema. È corretto che la transizione digitale sia una parte integrante del Piano nazionale di ripresa e resilienza. I contributi e i crediti d’imposta sono misure importanti e devono essere stabilizzati per agevolare un’adeguata pianificazione degli investimenti, ma poi è importante rivedere anche in questo caso il modello operativo.

Cosa intende?

Il piano originale di sostegno a Industria 4.0, il modello Calenda per intenderci, prevedeva tre soggetti partecipanti alla definizione di questo percorso: i Punti impresa digitale (Pid) delle Camere di commercio, i Digital Innovation Hub (Dih) di derivazione associativa o privata e poi i Competence center di derivazione universitaria o di istituti di ricerca. Si prevedeva che i Pid e i Dih fornissero gli strumenti e favorissero l’accompagnamento delle aziende verso il mondo della ricerca, rappresentato dai Competence center. Oggi il modello che si sta configurando è abbastanza diverso: ogni soggetto opera in modo un po’ asincrono rispetto agli altri e adesso che l’Europa sta istituendo gli European Digital Innovation Hub questo aspetto si rivela ancora più marcato.

Quindi in che direzione occorre muoversi?

Secondo noi il Digital Innovation Hub deve fornire non solo un supporto di accompagnamento per le Pmi verso la ricerca, ma deve anche e soprattutto fornire quel tipo di consulenza in grado di supportare l’azienda nell’evoluzione del proprio modello di business, prima ancora di rivedere gli strumenti tecnologici che possono accompagnare questa crescita. Ovviamente poi nel momento in cui l’azienda avesse la necessità di confrontarsi con il mondo della ricerca diventa fondamentale la collaborazione con i Competence center. Però da parte dei Digital riteniamo più opportuno implementare un approccio consulenziale, legato non soltanto alle evoluzioni tecnologiche ma anche alla riorganizzazione del proprio modello di business.

Quanto è importante per una piccola azienda, in questo contesto, tenere insieme nuove tecnologie e sostenibilità?

Molto. Questo è un aspetto ancora un po’ sottovalutato. Proprio in questo momento c’è una grande opportunità di far evolvere il proprio modello di business, perché comunque due terzi dei fondi del Recovery plan saranno destinati a queste due tematiche: innovazione digitale e transizione ecologica. I prossimi anni faranno da spartiacque tra chi sceglierà di proseguire la propria attività imprenditoriale in modo tradizionale e chi deciderà di avviare invece un concreto percorso di crescita orientato all’innovazione tecnologica ma anche alla transizione ecologica.

Da più parti si sottolinea l’importanza di accompagnare gli investimenti digitali in adeguata formazione di competenze. C’è l’esigenza, insomma, di far crescere figure preparate in azienda...

Sì, lo stesso piano Transizione 4.0 ha rinforzato i benefici derivanti dalla formazione, che finora fra tutte le misure previste è stata quella che ha raccolto meno interesse da parte delle aziende. Diventa dunque fondamentale trasmettere la necessità di accrescere la cultura digitale, perché noi possiamo implementare il sistema più automatizzato possibile, ma se poi le persone non sono consapevoli di come utilizzare queste tecnologie, si rischia di andare a perdere i reali benefici che possono portare questi investimenti. Un imprenditore che decide di usare nuovi canali di vendita, ad esempio tramite l'uso dei social network, deve anche essere sicuro di avere adeguato i processi operativi per essere in grado di rispondere con efficacia alle esigenze derivanti da questo nuovo canale, perché vendere sui social network è diverso dal vendere sui canali tradizionali. Quindi cultura digitale significa anche questo. E diventa importante prevedere dei corsi formativi ad hoc.

Da ultimo, c'è un consiglio comune e universale che si può dare a qualsiasi azienda in tema di digitalizzazione?

Quello di uscire dal concetto del classico «ho sempre fatto così»: oggi diventa quanto mai importante cogliere con interesse e apertura anche le novità che possono arrivare dall’esterno. Che sono chiaramente da valutare con attenzione, ma in ogni caso l’approccio di chi pensa «ho lavorato così per trent’anni e ha sempre funzionato» oggi non è più l’approccio corretto. Bisogna provare a fare uno sforzo e capire se c’è un modo diverso per portare avanti l’attività in maniera più efficiente e con qualche idea nuova. Ovviamente senza con questo stravolgere il proprio business.

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Stefano Tomasoni