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Apindustria.

Un piano strategico per l'Italia

L'appello per interventi immediati, ma anche per un piano a lungo termine

Nel giro di un mese il quadro si è fatto molto più fosco, e non solo per la guerra: nonostante le incertezze e le tensioni già esistenti, soprattutto sul costo delle materie prime e dell’energia, il 2022 si era aperto all’insegna della fiducia in un anno di crescita, ma ora per molte aziende è allarme rosso: «Rispetto agli elementi di difficoltà che già avevamo evidenziato con forza nelle scorse settimane - sottolinea Mariano Rigotto, presidente di Apindustria Confimi Vicenza -, lo scenario oggi si è ulteriormente complicato e registriamo una diffusa preoccupazione: il fatto che diverse aziende energivore (fonderie, acciaierie, vetrerie, stampaggio plastica, alimentare) abbiano fermato la produzione è un segnale grave. C’è il forte timore che, se continua così, verranno a mancare alcuni materiali essenziali e tutta la catena di produzione potrebbe interrompersi. A questo si aggiunge la grave situazione delle imprese della logistica su gomma in enorme difficoltà per il caro gasolio. Anche sul piano commerciale la situazione è molto più incerta rispetto a come appariva solo poche settimane fa: per il 1° semestre le nostre imprese avevano già acquisito un portafoglio di ordini importante, pur con l’incognita dei costi e dei tempi per evaderli, ma iniziano a esserci timori per il 2° semestre».
    Come si può uscire da questa situazione?
«Questa situazione è l’ennesima campana che suona - forse l’ultima - per ricordare che dobbiamo darci un piano strategico per l’industria, che in Italia manca e che chiediamo non da ora ma da trent’anni. Questa situazione è il risultato non di scelte sbagliate, ma peggio: di una politica che non ha voluto fare delle scelte. Ora sempre la politica deve agire in fretta per rimediare, mettendo in campo una strategia diversificata a breve, medio e lungo termine».
    Con quali azioni?
«Nell’immediato abbiamo chiesto di avere un prezzo amministrato per gli energivori e di fissare per tutti gli altri un tetto massimo (cap) per dare delle certezze alle imprese in fase di costing. Gli interventi governativi su accise e IVA per energia, gas e carburanti rischiano di essere meri palliativi, le risorse sono poche e vanno indirizzate per priorità. Vanno incrementate le forniture di gas non russo e implementate rapidamente le annunciate semplificazioni amministrative per l’attivazione di impianti a energie rinnovabili. E ancora, possiamo agire anche sul risparmio energetico, promuovendo con specifiche misure l’efficientamento e la riqualificazione energetica degli insediamenti produttivi, ma chiediamo misure di lungo periodo seppur meno generose, evitando le distorsioni che stiamo vedendo coi superbonus casa. Parallelamente, nel medio termine occorre intensificare il confronto europeo sulle soluzioni migliori per l’autonomia energetica dell’Unione e avviare un piano di investimenti a lungo termine».
    E per le materie prime?
«Anche qui il Governo deve intervenire, cercando di aprire per il sistema Paese dei canali di acquisto alternativi e promuovere a livello europeo una politica volta a frenare le speculazioni finanziarie. Su questo alcuni margini di manovra ci sarebbero a livello comunitario». Nel frattempo le aziende hanno improvvisamente perso il mercato russo. «Sicuramente questo rappresenta un danno importante, la cui entità potrebbe essere superiore alle stime ufficiali. Il nostro tessuto produttivo è composto infatti soprattutto da aziende subfornitrici, pertanto c’è una quota importante di fatturato che riguarda commesse destinate alla Russia, ma non viene conteggiato nel novero delle esportazioni della nostra provincia semplicemente perché l’impresa vicentina formalmente vende ad un’altra azienda italiana. Per questo riteniamo che i circa 380 milioni di euro di export vicentino verso la Russia, da fonte Istat, siano un dato che sottostima le perdite potenziali. La rilevazione che abbiamo effettuato lo conferma, perché i soli nostri associati prevedono un danno per circa 170 milioni di euro, senza contare che circa un’azienda su quattro non ha ancora visibilità dell’impatto che il conflitto avrà sulla propria catena del valore a valle».
    Cosa ha insegnato la pandemia alle PMI?
«Credo rimarrà l’abitudine a gestire i rapporti con i clienti in modo diverso, utilizzando maggiormente le comunicazioni via web: rispetto al passato si faranno meno visite e più meeting online, ottimizzando i tempi e anche i costi. Le PMI escono dunque dalla pandemia con una maggiore consapevolezza della propria capacità di lavorare anche in situazioni di emergenza, più flessibili e con un’organizzazione più efficiente».