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CNA Veneto Ovest

Le nuove categorie "forti"

Cinzia Fabris
Cinzia Fabris
Le nuove categorie "forti"

Non chiamateli mai più “soggetti deboli”. Se c’è una grande lezione che ci sta trasmettendo ogni giorno la lotta al Coronavirus, riguarda proprio le categorie che nell’immaginario collettivo sono sempre state etichettate come le più fragili e bisognose di attenzioni o misure di supporto. E cioè donne e giovani. Da un lato il “sesso debole”, espressione sbiadita di un’era in cui la capacità di reggere pressioni e responsabilità si misurava soltanto in termini di prestanza fisica. Dall’altro la generazione che non è “mai pronta abbastanza”, quella degli eterni esclusi: fuori dalle opportunità che contano, dalle posizioni di prestigio, dalla stabilità economica e in generale da qualsiasi progetto di vita con un minimo di visione a medio-lungo termine. Ecco, ci è voluta “soltanto” una pandemia mondiale, ma alla fine la rivoluzione è inesorabilmente arrivata. E che rivoluzione. «Questi ultimi dodici mesi - sottolinea Cinzia Fabris, presidente di CNA Veneto Ovest - hanno davvero rimescolato tutte le nostre certezze. Abbiamo conosciuto nuove forme di fragilità, e tutti abbiamo sentito presto o tardi di far parte di una categoria “debole”, a prescindere da dove ci siamo collocati fino a un attimo prima. Oggi è un po’ più debole chi ha un problema di salute cronico, con cui magari fino a ieri conviveva senza troppi pensieri. È più debole chi ha figli da seguire, o genitori nella fascia d’età più critica. Sono più deboli i nostri giovani senza la scuola, i nostri anziani senza relazioni e socialità. Ed è più debole ovviamente anche chi fa impresa, in attesa di sostegni economici che non arrivano o alle prese con le difficoltà di normative che ne fanno vedere davvero di tutti i colori. E non è solo un modo di dire». Ma di fronte a una debolezza che cambia, c’è un nuovo concetto di forza che prende piede. «Paradossalmente - prosegue Fabris - è proprio da questi timori e incertezze che possiamo riscoprire la nostra vera forza. Oggi siamo tutti chiamati a un nuovo ruolo nella società: dobbiamo tirare fuori tenacia, resilienza, capacità di governare i cambiamenti in atto. A prescindere dall’età o dal sesso a cui appartiene ognuno di noi. Per questo pur nel dramma che stiamo vivendo io vedo una grande occasione per riscrivere un altro modello di società, che rompa i vecchi equilibri di genere o tra le generazioni, per riscriverne di nuovi dove alla fine si vince solo con talento e preparazione». E se di vero strappo si tratta, non ci sono rattoppi improvvisati che tengano. «Fino all’avvento del Covid abbiamo vissuto in un mondo dove le discriminazioni si sono sempre combattute con pezze quasi peggiori del problema stesso, come se concessioni “calate dall’alto” potessero servire a superare uno schema di ruoli radicato a fondo nel nostro sistema sociale. Adesso tutto questo non tiene più. Lo ha dimostrato alla prova dei fatti chi, in campo economico, è uscito più forte da quest’annus horribilis, e cioè le realtà non solo imprenditoriali con più donne in ruoli di vertice, e con giovani a dirigere i processi d’innovazione fondamentali per stare sul mercato». E non è soltanto l’Europa di Angela Merkel, di Christine Lagarde e di Ursula Von Der Leyen a fare scuola. Su questo splendido presente soffia il vento del cambiamento di Kamala Harris, la prima vicepresidente donna degli Stati Uniti; o quello della finlandese Sanna Marin (36 anni), la più giovane premier al mondo, o ancora quello della collega neozelandese Jacinda Ardern (40 anni), che ha reso il suo Paese la prima nazione al mondo Covid-free. «Figure che - aggiunge Fabris - hanno avuto in comune la capacità di anticipare questa rivoluzione ormai in atto. Come hanno fatto? Hanno semplicemente smesso di credere alle incrostazioni culturali che ancora si tramandano nella nostra società, e iniziato a guardarsi come parte attiva di questo nuovo processo che punta al benessere collettivo. Questo vuol dire essere grandi leader, e vale in tutti i campi: dalla politica all’impresa, in famiglia e nella società di tutti i giorni». Ma siamo davvero pronti a tutto ciò? «Be’, le rivoluzioni non arrivano “quando si è pronti”, arrivano quando è il loro momento, e non sempre con il giusto preavviso, come abbiamo visto. Sta a noi coglierne i segnali per tempo, per cominciare a interpretare il nostro ruolo sul lavoro e in famiglia liberandoci per primi dai pregiudizi su noi stessi. Credo fortemente che così, dopo l’anno della grande pandemia, potremo ricordare per sempre il 2021 come quello della grande rinascita». Che messaggio lasciare a queste nuove “categorie forti”? «A donne e giovani dico di scommettere sempre sul loro talento, sulle loro passioni e sull’importanza della preparazione. Nell'entusiasmo e nell’energia della loro età hanno tutto ciò che serve per non temere le incertezze. E noi come associazione non smetteremo mai di credere in loro».