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Il fenomeno dimissioni

C’era una volta il mito del posto fisso «Ora il mercato è fluido»

Indagine Cisl: nel 2021 in 170 mila hanno cambiato lavoro. Refosco: «Le imprese devono valorizzare le competenze»

Un mercato del lavoro più fluido, nel quale la flessibilità non è più una prerogativa delle aziende, ma sono i lavoratori a cambiare per trovare condizioni migliorative. È il quadro che emerge dall’indagine condotta dalla Cisl regionale sui dati di Veneto lavoro, che nel 2021 ha registrato 170.973 dimissioni volontarie, di cui 20.247 passate dagli uffici del sindacato, secondo quanto registrato dal ministero del Lavoro. Partendo da questi ultimi, la Cisl ha tracciato un’analisi di un fenomeno in continua crescita, come illustra Gianfranco Refosco, segretario regionale.

Una volta il posto fisso era l’obiettivo, e poi si teneva per la vita. Non è più così?
No, il fenomeno delle dimissioni volontarie si sta sempre più accentuando e non ce ne sono mai state così tante negli ultimi 20 anni. È vero che abbiamo passato anni di forte crisi, ma anche ora chi si dimette lo fa in un contesto d’incertezza.

Quindi siamo passati dalla flessibilità aziendale a quella dei lavoratori?
Sì, prima il problema delle aziende era la flessibilità, adesso invece è la fidelizzazione dei lavoratori, in un contesto in cui trovarli non è affatto semplice, tanto che le imprese se li rubano una con l’altra.

C’è però anche chi dice che non si trova perché gli stipendi non sono adeguati.
Quando parliamo dell’attrattività delle aziende, c’è anche questo problema, ma non è il solo. Penso ai settori, come il turismo, che durante il Covid hanno chiuso e si sono trovati con persone che sono passate a lavorare in altre realtà e hanno scoperto che la fabbrica non è così brutta come la si dipinge e ha condizioni migliori e orari più gestibili, quindi non sono tornate indietro. La pandemia ha portato a riscoprire l’importanza del tempo per sé e questa situazione rischia di diventare strutturale. Serve una serie riflessione sulle condizioni contrattuali.

Chi è che si licenzia?
Soprattutto i giovani fino ai 30 anni, che nel 2021 rappresentavano quasi un terzo del totale (30,4%), mentre il fenomeno diminuisce con l’aumentare dell’età, a partire dalla fascia 30-39 anni (23,7%), che è quella in cui di solito ci si stabilizza e ci si fa una famiglia. Nei primi mesi del 2022 la forbice si è ulteriormente allargata, con oltre il 34% rappresentato da under 30.

Ci sono settori più colpiti?
Il numero maggiore delle dimissioni (37,9%) riguarda servizi e commercio, che però è anche quello con più dipendenti, ma in realtà è un fenomeno abbastanza trasversale e bilanciato tra i macrosettori.

Ci sono differenze per quanto riguarda il genere?
Gli uomini rappresentano circa un terzo delle dimissioni, forse hanno più propensione o anche maggiore possibilità di farlo. Ma questa proporzione è costante, non varia infatti nella fascia d’età in cui si mette su famiglia e si fanno figli.

Perché ci si dimette?
Perché si è ricevuta un’offerta economicamente più interessante, più vicina a casa o che si concilia meglio con gli orari. Ma c’è anche chi ha trovato qualcosa di più stimolante. In comune, comunque, hanno il fatto che chi si dimette ha già trovato un nuovo impiego e molti dopo una settimana sono già ricollocati.

Questo è coerente con la difficoltà a trovare dipendenti.
Infatti. Secondo i dati Anpal c’è un fabbisogno di dipendenti trasversale a tutti i settori e su 100 lavoratori ricercati, 50 sono difficili da trovare, 25 perché manca la manodopera e 25 perché mancano le competenze. Questo dimostra che il problema riguarda sia le basse che le alte professionalità e spesso quello che manca è far incrociare domanda e offerta, per questo è importante la revisione dei centri per l’impiego. Ma non è l’unica questione.

Quali sono le altre?
Una è quella demografica, con sempre meno giovani che entrano nel mercato del lavoro, rispetto a chi esce. Poi settori come l’agricoltura, l’edilizia e il turismo soffrono il rallentamento dell’immigrazione, un po’ per il Covid, un po’ perché gli stranieri hanno visto che all’estero si guadagna di più. Per quanto riguarda invece le competenze carenti, bisogna interrogarsi sulla formazione.

Come si prevengono le dimissioni?
Stiamo ragionando con le aziende proprio sulla fidelizzazione, che riguarda i salari, tema caldo anche alla luce dell’inflazione, e anche tempi e modalità che il lavoro agile può permettere di coniugare, se organizzato in maniera intelligente. Questo processo iniziato con il Covid può infatti essere un aiuto, ma pone anche questioni nuove, come il lavorare per obiettivi, ma anche il diritto alla disconnessione. Servono insomma tutele nuove e diverse e subito dopo la pandemia ci sono già stati accordi aziendali che l’hanno disciplinato. Bisogna rilanciare crescita e produttività, ma crescendo le competenze dei lavoratori bisogna anche pensare a una valorizzazione differente

Di recente è mancato Leonardo Del Vecchio, è stato un esempio in questo?
È stato un imprenditore illuminato, che ha creato un impero con una visione strategica, dal punto di vista del mercato, della finanza, del prodotto, ma anche tenendo sempre presente che uno degli elementi competitivi sono le competenze e l’impegno del personale, tanto che Luxottica è sempre stata all’avanguardia dal punto di vista del welfare e della contrattazione aziendale.