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INTERVISTA - Sebastiano Favero

Sosteniamo l’utilità del servizio obbligatorio. Una guardia nazionale

By Athesis Studio
Il presidente Sebastiano Favero guida l’Ana nazionale dal 2013
Il presidente Sebastiano Favero guida l’Ana nazionale dal 2013
Il presidente Sebastiano Favero guida l’Ana nazionale dal 2013
Il presidente Sebastiano Favero guida l’Ana nazionale dal 2013

Un servizio civile obbligatorio, «tipo guardia nazionale», per formare le nuove generazioni nel solco di quei valori universali e senza tempo quali rispetto, solidarietà, amor di patria. È questa la sfida che gli alpini italiani pongono al governo attraverso una proposta che preveda l’introduzione di un periodo formativo obbligatorio da svolgere tra i 18 e i 25 anni, spendibile nelle istituzioni, nel volontariato, nei corpi militari, nella protezione civile. «Solo così cresceremo ragazzi in grado di prendersi cura del nostro Paese come gli alpini fanno e continueranno a fare finché esisteranno». Parola di Sebastiano Favero, presidente dell’associazione nazionale degli alpini dal 2013. Originario di Possagno, Favero – iscritto alla sezione Monte Grappa di Bassano – approfitta dell’occasione del centenario della Monte Pasubio per riflettere sul passato e soprattutto per tracciare la rotta futura delle penne nere, in un momento storico in cui il calo della partecipazione, in tutti i settori, si fa sentire.

Presidente Favero, quanti alpini ci sono oggi in Italia?
L’associazione nazionale conta oggi 340 mila iscritti. Di questi 260 mila sono soci alpini, nel senso che hanno svolto il servizio di leva nel corpo alpino o hanno fatto volontariato attivo con la protezione civile. Gli altri sono amici o aggregati. Qual è la differenza tra amici e aggregati? Diciamo che l’aggregato ci sostiene, è un simpatizzante, ma non prende parte ad iniziative e attività. Chi fa parte dell’elenco degli “amici” invece partecipa attivamente ad eventi e manifestazioni, oltre che a servizi di vario tipo. Sono due gruppi abbastanza dinamici, che insieme arrivano a circa 70 mila componenti.

Numeri ancora di peso. Ma quanti eravate trent’anni fa?
Il picco massimo lo abbiamo raggiunto tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, arrivando a quota 400 mila. Se non c’è stato un calo così significativo, il merito va anche ai “dormienti”, quegli alpini che finora non si erano mai iscritti e che negli ultimi anni lo stanno facendo: si parla di un recupero che va dai 6 agli 8 mila nuovi soci ogni anno.

Come sono distribuiti a livello nazionale gli alpini? Ci sono grosse differenze tra Nord e Sud Italia?
Com’è noto la maggior parte delle penne nere si trova nelle regioni del Nord, fino all’Emilia Romagna, dove si concentra più o meno l’80 per cento dei soci. Una buona fetta è anche nel Centro, soprattutto Abruzzo ma con rappresentante importanti in Lazio, Molise, Marche, Toscana.

Ci sono regioni italiane in cui gli alpini mancano?
No, almeno con uno o due gruppi siamo presenti in tutte le regioni.

Da qualche anno anche le donne sono entrate nell’associazione. Quante ce ne sono?
Non è un dato che al momento ho, ma sono tante, davvero tante, molte di loro sono diventate anche capigruppo.

Qual è l’età media dell’alpino, oggi?
Ecco, questo è invece un dato che abbiamo verificato di recente, si aggira sui 59 anni.

Un’età che mette sul tavolo la questione del ricambio generazionale. Siete preoccupati per il futuro dell’associazione?
Qualche preoccupazione è innegabile che ci sia. Il tema del futuro associativo è più che mai al centro dell’attenzione. Non è un caso che sia stato messo in primo piano, con forza, anche all’ultima assemblea dei delegati, che si è svolta lo scorso luglio a Rimini. Un incontro durante il quale è stata istituita una commissione ad hoc, suddivisa in due gruppi di lavoro: uno deve occuparsi degli aspetti interni e organizzativi, studiando la nostra capacità di essere presenti a livello locale. L’altro gruppo invece deve guardare più al mondo esterno, in particolare ai giovani, per capire come invogliarli ad entrare a far parte dell’associazione. In ogni caso, da sempre, siamo a favore di un servizio obbligatorio.

Che tipo di servizio sarebbe?
Servizio civile o militare che sia, ma almeno qualche mese per i ragazzi ci vorrebbe. Da svolgere tra i 18 e i 25 anni, in modo che ci sia il tempo di organizzarsi in base a impegni di studio o lavoro. E con una libera scelta, che potrebbe riguardare appunto la sfera civile o l’ingresso in un’organizzazione militare. Penso a qualcosa sul modello della guardia nazionale, come strumento di difesa interna.

Parliamo di protezione civile?
Sì, ma più strutturata e organizzata. Come volontari di protezione civile noi già ci siamo. Ripeto, una specie di guardia nazionale. Questo è il quarto anno che facciamo delle esercitazioni con le truppe alpine, ipotizzando scenari di disastro. Abbiamo 4 mila gruppi alpini in Italia e ognuno di questi fa, in qualche modo, servizi di protezione civile o volontariato. Pensiamo solo all’impegno in tutta la campagna di vaccinazioni o nell’allestimento degli ospedali all’inizio della pandemia, siamo intervenuti fin dal primo giorno. E infatti stiamo predisponendo un dossier proprio su questo, per tenere traccia di quanto è stato fatto.

C’è una proposta di legge per questo servizio civile obbligatorio?
No, ma fin dal 2014 abbiamo inviato sia al ministero della Difesa che alla presidenza del consiglio dei ministri quella che è la nostra proposta: una fase di formazione comune a tutti e poi la scelta di un percorso tra protezione civile/servizio civile o pratica militare.

Presidente, perché gli alpini sono così amati? Perché infondono un senso di serenità, di famiglia, di convivialità. Lo stesso rancio alpino è sinonimo di incontro, scambio, amicizia. E poi gli alpini sono sempre disponibili e aiutano tutti e questo la gente lo sa, tanto è vero che, da Nord a Sud, quando si vede una penna nera tutti sorridono.

Lei non dovrebbe esprimersi, in quanto guida nazionale dell’associazione, ma se l’adunata 2024 si tenesse a Vicenza...?
Già, non posso esprimermi (sorride, ndr). Diciamo solo che abito in un certo posto e, statisticamente, l’adunata manca dal Vicentino da molti anni.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giulia Armeni