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Solagna

Cerca invano di salvare il cane, ricordo della moglie, dall'auto sommersa

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Il sottopasso di via Papa Giovanni dove l'auto è rimasta bloccata e poi sommersa dall'acqua
Il sottopasso di via Papa Giovanni dove l'auto è rimasta bloccata e poi sommersa dall'acqua
Il sottopasso di via Papa Giovanni dove l'auto è rimasta bloccata e poi sommersa dall'acqua
Il sottopasso di via Papa Giovanni dove l'auto è rimasta bloccata e poi sommersa dall'acqua

«Mi sono trovato l'auto sommersa in pochi istanti, ho aperto la portiera per evitare di restare imprigionato. L'abitacolo si è subito riempito d'acqua. Sono uscito, ho provato a prendere il mio cane ma non ci sono riuscito. Sono corso in municipio per chiedere aiuto, poi ho capito che stava andando sempre peggio, allora sono tornato indietro per recuperare Ettore, il cane di mia moglie, mancata poco tempo fa. Sono arrivato all'auto, l'acqua mi arrivava già al collo, aprire le portiere era impossibile, l'abitacolo era sommerso, per Ettore non c'era più niente da fare: mi si è lacerato il cuore». A parlare è Gianpaolo Mocellin, il 71enne commerciante di Solagna che ieri è rimasto intrappolato con la sua Lancia Libra nel sottopasso ferroviario di via Papa Giovanni, strada che collega il centro del paese alla frazione di Bresagge.

 

Quella foto che lo ritrae mentre sta cercando di raggiungere la sua auto completamente sommersa dall'acqua per salvare il suo volpino di 12 anni è diventata una delle immagini simbolo dell'alluvione che martedì 4 agosto ha messo in ginocchio Solagna. È successo tutto in pochi minuti. «Non c'erano cartelli, c'era acqua sulla carreggiata ma sono riuscito a passare, poco dopo l'auto si è spenta». Le strade laterali diventano come fiumi, l'auto si solleva dall'asfalto: «Stavo galleggiando». Un primo tentativo di prendere il cane va a vuoto, poi la corsa in paese per chiedere aiuto. Ma poco dopo l'auto è stata completamente sommersa dall'acqua. Il commerciante ha tentato nuovamente di raggiungere l'abitacolo, immergendosi fino al collo. Per Ettore, però, non c'era più nulla da fare. «Era il cane di mia moglie. Da quando lei non c'è più, prendermi cura di lui era il mio compito più caro. Era come averla ancora accanto».

 

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Francesca Cavedagna

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