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Dopo il rogo di Brendola

Arpav: no diossine
ma è allerta acque
Moria di pesci

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Moria di pesci all'altezza del ponte San Giovanni di Lonigo (Giacomo Barausse)
Moria di pesci all'altezza del ponte San Giovanni di Lonigo (Giacomo Barausse)
Moria di pesci all'altezza del ponte San Giovanni di Lonigo (Giacomo Barausse)
Moria di pesci all'altezza del ponte San Giovanni di Lonigo (Giacomo Barausse)

Sono rassicuranti, ma fino a un certo punto, i risultati delle analisi dal Laboratorio Arpav di Venezia per la ricerca di IPA, diossine e PCB, campionate durante la fase acuta dell’incendio di lunedì a Brendola, nel Vicentino.

 

«Pur precisando che per quanto riguarda la presenza di diossine e furani nell’aria non vi sono limiti normativi né valori guida - fa sapere Arpav -, i dati evidenziano che durante l’incendio le concentrazioni sono risultate inferiori al limite di quantificazione.  Tale valore risulta in linea con le concentrazioni di fondo in condizioni di normalità rilevate nei capoluoghi Veneti in un lavoro condotto da ARPAV  nel 2015. Per quanto riguarda le determinazioni di IPA, la concentrazione di Benzo(a)pirene, unico IPA regolamentato dalla normativa italiana  è risultata non quantificabile dal metodo analitico.».

 

Attualmente quindi risulta maggiormente critica la situazione relativa all'inquinamento delle acque superficiali, che si sta spostando da Brendola verso la provincia di Verona, attraversando i comuni di Sarego e Lonigo. Le analisi sul campione prelevato nel Fiumicello Brendola poco dopo il punto di confluenza del Rio Signoletto, alimentato dalle acque di spegnimento dell’incendio, «evidenziano la presenza dei composti attesi considerata la tipologia dell’azienda, in particolare solventi, peraltro individuati anche nei prelievi dell’aria eseguiti nell’immediatezza dell’evento».

 

Tenuto conto delle condizioni di ossigeno già basse per le alte temperature del periodo, Arpav fa notare che tali composti abbiano determinato la conseguente moria dei pesci. Nel percorso delle acque superficiali, la presenza di tensioattivi (non ionici) ha inoltre determinato ad ogni salto idraulico la formazione di schiuma persistente, provocando quindi un’ulteriore difficoltà allo scambio di ossigeno».

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