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L'intervista a Zanetti

«La serie A trovata passo passo. Con il Lane le strade non si sono incrociate, ma nella vita non si sa mai...»

Paolo Zanetti, 38 anni, vive a Valdagno. Nella foto portato in trionfo dai tifosi veneziani a piazza San Marco
Paolo Zanetti, 38 anni, vive a Valdagno. Nella foto portato in trionfo dai tifosi veneziani a piazza San Marco
Paolo Zanetti, 38 anni, vive a Valdagno. Nella foto portato in trionfo dai tifosi veneziani a piazza San Marco
Paolo Zanetti, 38 anni, vive a Valdagno. Nella foto portato in trionfo dai tifosi veneziani a piazza San Marco

Dieci giorni per prendersi una pausa dopo la sbornia da promozione, lontano da tutti, nella sua Valdagno e nella sua Venezia. Sì, perché Paolo Zanetti, 38 anni e un futuro già scritto, in Laguna è amato come se fosse nato tra le calli veneziane, un Doge del calcio che ha condotto in serie A il Venezia dopo 19 anni ma che in realtà ha fatto molto altro, portando entusiasmo, passione e bel calcio vincendo la finale playoff contro il Cittadella.
In serie A gli hanno fatto la corte almeno tre squadre ma alla fine ha deciso di rimanere firmando un contratto che lo lega ai lagunari fino al 2025: «L'avventura non poteva finire così, a Venezia mi sento a casa, ho sentito che i ragazzi avevano bisogno di me ed io di loro».

Cosa ci vuole per andare in serie A?
La differenza la fa il fattore umano, l'unità del gruppo, la compattezza tra società, lo staff e i giocatori. È questa la chiave che ti porta a compiere lo straordinario anche quando non hai una squadra costruita per andare in serie A.

Eppure il Venezia aveva una rosa importante.
Non direi. Cinque-sei giocatori maturi, sei acquisti arrivati da squadre retrocesse e altri 4-5 giovani stranieri che erano delle scommesse. Il nostro obiettivo era raggiungere la salvezza il prima possibile, al massimo arrivare in zona playoff. I risultati li abbiamo costruiti giorno dopo giorno.

Questione di "manico" allora?
Di tante componenti, ma soprattutto di feeling, di intesa tra il "manico" e la squadra. Per fare qualcosa in più - secondo me - l'allenatore deve essere bravo ad accendere la scintilla. Non ci siamo mai posti l'obiettivo della serie A, nemmeno prima della doppia finale con il Cittadella. L'obiettivo era quello di pensare alla gara, a come vincere. Credo che serva lavoro, umiltà e rispetto degli avversari per ottenere qualcosa di importante.

La cercavano squadre blasonate e adesso sarà sotto gli occhi dei riflettori in A. Vertigini?
È normale che quando un allenatore vince sia al centro dell'attenzione, ma un tecnico è sempre sotto esame perché è sempre legato ai risultati sportivi. Sono consapevole che l'anno prossimo sarà ancora più difficile, ma sono anche curioso di confrontarmi con chi è superiore sulla carta. Vero che ho avuto degli interessamenti da altri club ma dovevo essere coerente con la società e con la squadra.

C'è stato un momento in cui era molto vicino al Vicenza...
Mah, quanto vicino non lo so. Ho fatto una chiacchierata con il diesse Giuseppe Magalini, professionista che stimo molto, poi non si è fatto più niente. I papabili per allenare il Lane eravamo io e Mimmo e la società ha scelto Di Carlo. E ha fatto bene, sia perché ha vinto il campionato di Lega Pro, sia perché ha ottenuto una salvezza meritata gettando le basi per il futuro. Quella volta semplicemente le strade non si sono incrociate, ma nella vita non si sa mai.

Come ha visto il Vicenza quando lo ha affrontato in questo campionato?
È stata una delle squadre che ci ha messo più in difficoltà, con un atteggiamento difensivo molto aggressivo, andando a bloccare le fonti di gioco. Le squadre di Mimmo sono rognose, difficili da affrontare. Credo abbia avuto l'organico giusto per il risultato ottenuto, la classifica rispecchia la rosa che aveva a disposizione e non era certamente scontato. Sta costruendo qualcosa d'importante, ha gettato delle basi solide.

Nei festeggiamenti per la serie A ha gridato dal ponte di Rialto che ci voleva un vicentino per portare il Venezia in A...
L'ho fatto con grande rispetto per i tifosi del Venezia che mi hanno adottato. Tra loro e quelli del Lane c'è una sana rivalità sportiva che non eccede in altro. Ma l'ho fatto anche perché sono legato alla mia terra, a Valdagno e a Vicenza tutta. È stato un modo per avvicinare le persone, i vicentini e i veneziani che amano il calcio senza tensioni. E poi siamo tutti veneti, ci capiamo al volo...

Cos'ha provato quando ha visto le immagini di Eriksen accasciato sul campo?
Mi si è gelato il sangue, come a tutti penso e poi ho pensato ai ragazzi della squadra, a questi giocatori che prima di tutto sono uomini. L'arresto cardiaco è accaduto ad un ragazzo e marito danese prima ancora che ad un giocatore danese.

Eugenio Marzotto