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L'intervista

Maurizio Viscidi vota Lane: «Vicenza squadra da playoff, la coppa lo dimostra»

Bassanese, 60 anni, coordinatore delle nazionali giovanili. «I playoff? Un'opportunità, non un castigo. Aver vinto la coppa Italia, che assomiglia agli spareggi, è una bella spinta».
Maurizio Viscidi, coordinatore delle nazionali giovanili
Maurizio Viscidi, coordinatore delle nazionali giovanili
Maurizio Viscidi, coordinatore delle nazionali giovanili
Maurizio Viscidi, coordinatore delle nazionali giovanili

Idee chiare, soprattutto su quali sono i mali del calcio italiano, ma nello stesso tempo un'idea precisa di come risolverli. Il tema vero però non è quello che ruota attorno ad un campo da calcio, ma nella società stessa: scuola, educazione, amministrazione pubblica. Maurizio Viscidi, bassanese di 60 anni, parla apertamente di connessione. Se tutti gli attori di una società e del pallone non dialogano, il calcio e i suoi talenti, un intero patrimonio, si perderà. Parole del coordinatore della nazionali giovanili che insieme al suo staff, osserva e visiona ogni settimana una cinquantina di partite, migliaia di ragazzi da valutare prima di una possibile convocazione nelle nazionali under.

Viscidi, si continua a dire che il calcio italiano non produce giocatori di talento. È davvero così?
Diciamo che è sempre più difficile e i motivi sono tanti. Nel calcio italiano c'è un problema di sinergia. C'è il giovane calciatore, un allenatore formato a Coverciano con un metodo che poi entra in un club che ha un altro metodo che a sua volta deve tenere conto delle richieste della società. E spesso tutti pensano per sè. Così alla fine manca un'identità collettiva: un esempio, in Spagna tutti giocano con il possesso palla, in Inghilterra c'è un calcio fisico e da noi? Abbiamo perso lo stile italiano perché ognuno ha il suo.

In Primavera troppi stranieri?
Non sempre il giocatore straniero è meglio del nostro, ma capisco anche le esigenze delle società: i ragazzi che arrivano dall'estero costano meno e hanno più fame dei nostri giovani, anche se questo tema si sta allargando negli altri Paesi europei. Quello che conta è dare ai ragazzi la possibilità di crescere.

Lei ha detto in un'intervista che non si insegna più a saltare l'uomo, l'uno contro uno cancellato...
Perché è stato cancellato il modello del calcio di strada dove ci si divertiva a dribblare senza paura, rischiare e giocare da mattina a sera. Mentre oggi vedo nelle Giovanili allenamenti statici, votati troppo alla tattica, quando invece bisogna avere la palla tra i piedi, ore ed ore. Faccio un esempio: Baggio era un talento ma lo è diventato davvero quando ha fatto una infinità di pratica con la palla. Pensiamo ad un pianista... per diventarlo davvero un allievo suona al piano tantissime ore a settimana, è così che diventa pianista altrimenti va a suonare al compleanno dei genitori. Nel calcio? Due allenamenti a settimana un'ora e mezza... dove spesso in campo ci sono allenatori che fanno palestra da mister attraverso i ragazzi, mentre il campo dovrebbe essere la palestra dei giovani.

Da Mancini ad Alessio, da Tonin a Mogentale. Qualcosa si muove a Vicenza.
Significa che la società vuole investire sui giovani e che sta lavorando bene, poi il salto nelle prime squadre è altro affare. Debuttare in serie C dopo un percorso serio è possibile, ma il vero stacco è giocare con le prime squadre. Un allenatore che magari ha un anno di contratto e che si gioca la salvezza, si affiderà sempre alla vecchia guardia e i giovani non crescono.

Ma all'estero giocano sedicenni, 17enni...
Intanto c'è una formazione tecnico-tattica individuale, basata sul giocatore, sull'individualità e poi gli allenatori sono manager. La società chiede ai mister sia punti in classifica che la valorizzazione del patrimonio interno, gli allenatori si siedono nei consigli di amministrazione, sono dirigenti d'azienda. In Italia quanti tecnici hanno un ufficio nella sede del club?

Avrebbe convocato Retegui per la Nazionale di Mancini?
Aldilà dei nomi credo che in un mondo che cambia non sia più pensabile convocare solo italiani che giocano nel nostro Paese. Abbiamo il dovere di non discriminare quei giocatori italiani che hanno il doppio passaporto. In Francia non si fanno certi problemi e hanno attinto a giocatori da tutti i Paesi che avevano colonizzato. Per me chi ha passaporto italiano può giocare in Azzurro. Ma poi c'è un'altra questione che si collega: i ragazzi di origine straniera ma nati, cresciuti, istruiti in Italia, sono per me italiani, tanto più se hanno avuto una condotta esemplare nello sport e a scuola. Come nel caso di Amey (nato nel bassanese) che non è mai stato in Africa ma che solo al 18° anno può diventare italiano.

Lei resta un tifoso del Vicenza. Che campionato è stato quello del Lane?
È stata un'annata clamorosa, con tre diversi allenatori i biancorossi hanno vinto la coppa Italia, sono ai playoff e sono ancora vivi.

Che playoff saranno a questo punto?
Intanto vanno considerati un'opportunità, non un castigo e può accadere di tutto. Dal punto di vista psicologico aver vinto la coppa Italia rappresenta una bella spinta. E se ci pensiamo il torneo della coppa di C non è molto diverso dagli spareggi. Gare secche, risultato da ottenere nel doppio confronto, penso cioè che il meccanismo della coppa si avvicini molto a quello dei playoff e se abbiamo vinto il trofeo...

E poi molti giocatori torneranno in condizione.
Appunto, la condizione fisica sarà determinante, se la squadra sta bene possono arrivare risultati impensabili. Da quello che ho visto, il tecnico Thomassen ha portato più compattezza, equilibrio tattico e con una rosa importante come quella del Vicenza, si può andare lontani.

Eugenio Marzotto