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L'intervista

Rachid Arma: «Questo Lane può farcela. E il Menti fa la differenza»

L'ex attaccante biancorosso, che ha scritto un libro "La storia del sultano di Agadir", parla dei playoff
Classe 1985, Rachid Arma ha fatto parte del gruppo che ha conquistato la promozione tra i cadetti
Classe 1985, Rachid Arma ha fatto parte del gruppo che ha conquistato la promozione tra i cadetti
Classe 1985, Rachid Arma ha fatto parte del gruppo che ha conquistato la promozione tra i cadetti
Classe 1985, Rachid Arma ha fatto parte del gruppo che ha conquistato la promozione tra i cadetti

Un'autobiografia che racconta una vita non sempre facile, sacrifici e emozioni che il pallone sa regalare. "La storia del sultano di Agadir", il primo libro di Rachid Arma, ex attaccante biancorosso, è uscito il22 maggio. Nel libro si parla di culture diverse, del suo viaggio partito a piedi scalzi sulla terra rossa dell'arido Marocco, fino all'Italia dove Arma si è sporcato le mani, lavorando otto ore in un'azienda metalmeccanica, ma con un sogno nel cassetto: fare il calciatore.

Com'è nato questo libro?
L'idea è partita nel 2010, quando nel giro di due anni sono passato dal lavorare in fabbrica a giocare una finale per andare in Serie A, con la maglia del Torino. Da allora la sera, ogni tanto, mi sedevo e scrivevo qualche appunto pensando che un giorno sarei riuscito a pubblicare la mia biografia. È stato molto, molto emozionante.

Perché il titolo "La storia del sultano di Agadir"?
In questo c'entra Nicola Bizzotto, il mio capitano a Vicenza: spesso in spogliatoio raccontavo di quando tornavo nella mia città, Agadir, in Marocco, per le vacanze. Lui è stato il primo a chiamarmi "il sultano di Agadir", che dà lì in poi è sempre stato il mio soprannome.

Quali sono le tappe principali della sua vita che racconta nel libro?
Sono tre: l'infanzia, fino ai dieci anni in Marocco, l'arrivo in Italia e il periodo in cui ho lavorato in fabbrica, fino poi all'arrivo tra i professionisti. È una storia fatta di sacrifici: durante le superiori andavo a scuola la mattina, il pomeriggio lavoravo part-time in un'azienda metalmeccanica e la sera andavo ad allenarmi. In fabbrica ho lavorato 8 anni prima di arrivare a diventare un giocatore professionista, con la Sambonifacese.

Nel libro cosa racconta della sua esperienza con la maglia del Vicenza?
Nella mia vita Vicenza ha un ruolo molto importante. A partire dalla prima esperienza, in B, per me negativa. Giocavo poco e dopo un gol, quando ho gettato a terra la maglia, zittendo i tifosi, un gesto che era rivolto ad una piccola parte, il rapporto con loro si è incrinato. Poi però ho voluto prendermi la responsabilità di ritornare e la promozione dalla C alla B è stata una delle cose più emozionanti della mia vita. Oggi vivo a Vicenza e quando la gente mi vede mi fa i complimenti per aver avuto il coraggio di tornare.

Qual era il suo sogno quando si è trasferito in Italia? Sperava di diventare un calciatore professionista?
Quando sono arrivato qui volevo fare due cose: giocare a calcio e imparare le lingue. Parlavo già il francese, l'arabo e, vivendo nel sud del Marocco, il Berbero, che è completamente diverso dall'arabo, poi sapevo che avrei imparato l'italiano venendo qui. Avrei voluto fare il linguistico, ma la mia famiglia aveva bisogno di un aiuto economico e quindi ho scelto un professionale, per andare a lavorare. È stata una rinuncia per dare una mano in famiglia, per fortuna poi ho coronato il sogno di diventare un calciatore.

Che ruolo ha avuto il calcio quindi nella sua vita?
Mi ha dato tanto, quasi tutto quello che ho. Mi ha insegnato a rispettare le regole, a stare assieme agli altri. Tutt'ora, a 38 anni, non riesco a pensare di smettere.

Quest'anno ha giocato in Serie D, prima con il Sona, poi con il Breno, con cui però non siete riusciti ad evitare la retrocessione, che stagione è stata?
Un po' strana, con il Sona doveva esserci la fusione con il Chievo che poi non è arrivata. A dicembre ho deciso di accettare una sfida personale e andare al Breno, che aveva 9 punti. Ho fatto sei gol e l'impronta è stata certamente positiva, ho trascinato la squadra ai playout poi però siamo retrocessi nello spareggio con il Seregno.

E l'anno prossimo giocherà ancora?
Sì, sto per avere dei colloqui con delle società.

Il Vicenza invece lo segue? Come vede questi playoff?
Certamente, quando posso lo seguo: anche contro la Pro Sesto ho visto la partita. Come al solito al Menti c'era un clima da calcio vero, che centra poco con la C. Di sicuro quest'anno si è incassato il duro colpo della retrocessione, ma penso che ce la potrebbero fare. Il Vicenza è una delle pretendenti e glielo auguro, perché una piazza così merita almeno la Serie B

Anna Fabrello