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Rabito, storia di un biancorosso mancato

di Federico Ballardin
Andrea Rabito segna il quinto gol del Modena nello 0-5 al MentiUn giovane Rabito con  CollinaAndrea Rabito con Otero
Andrea Rabito segna il quinto gol del Modena nello 0-5 al MentiUn giovane Rabito con CollinaAndrea Rabito con Otero
Andrea Rabito segna il quinto gol del Modena nello 0-5 al MentiUn giovane Rabito con  CollinaAndrea Rabito con Otero
Andrea Rabito segna il quinto gol del Modena nello 0-5 al MentiUn giovane Rabito con CollinaAndrea Rabito con Otero

Ha conquistato tre promozioni consecutive dalla B alla A, una dalla C alla B, ma non ha mai vestito la maglia biancorossa: «Mi offrii al Vicenza con contratto in bianco, ma Cristallini non accettò». Andrea “Roger” Rabito ha due rimpianti: non aver mai esordito in A e non aver mai giocato per la squadra della sua città. Oggi è ds e responsabile del settore giovanile del Dueville, società per la quale allena anche una formazione baby. Il calcio, insomma, è rimasto il suo lavoro. Rabito, com’è cominciata la sua avventura? «Iniziai nelle giovanili del Cavazzale e dopo una edizione del torneo “Andrea e Stefano” il Milan mi precettò, con la promessa che mi sarei trasferito in rossonero a 14 anni. Così andò: vivevo in un collegio di Lodi». Al Milan i compagni gli diedero il soprannome di “Roger” per l’assonanza Rabito-Rabbit ai tempi del noto film “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”, la sua velocità col pallone favorì ulteriormente l’accostamento e sono in molti, ex compagni, amici e dirigenti, a chiamarlo ancora così. Ha conosciuto Sacchi, Capello, Tabarez e Zaccheroni giocato con i migliori come Weah, Leonardo e Boban, ma nessuna presenza in rossonero. Come mai? «Ero un giovane e davanti c’erano dei mostri sacri -spiega - però avevo la maglia con numero e nome, che soddisfazione. Feci qualche panchina con Zaccheroni, a Cagliari e al Meazza con la Fiorentina, ma giocai solo l’amichevole con la Dinamo Kiev, organizzata dopo l’acquisto di Schevchenko». Poi il passaggio alla Reggiana e il periodo d’oro con tre promozioni consecutive con Modena, Sampdoria e Livorno. Ternana, Rimini, Albinoleffe e infine il Padova dove ritrovò l’amico Eder Baù. Un’amicizia che ha conservato? «Sì, siamo molto amici, tanto che sto raccogliendo per lui le schede del Pallone d’Oro visto che sta ancora giocando ed è candidato. Se lo merita per la persona che è e la passione per il calcio che ha». A livorno conobbe Chiellini e un certo Mazzarri... «Sì, Giorgio è un ragazzo di una umiltà unica, una caratteristica che fa la differenza tra i professionisti. Anzi, ora che conosco meglio il mondo dei dilettanti posso dirvi che ci sono grandi talenti che però non esploderanno mai. La differenza? Proprio l’umiltà: è quella che ti permette di migliorarti sempre. Molti dilettanti non ce l’hanno proprio». Torniamo a Chiellini, aneddoti? «Sì, ogni tanto mi procura dei biglietti per la Juventus - dice ridendo -, ma a Livorno non giocava, era un giovane. Mazzarri gli consigliò di andare altrove, per fare esperienza. Poi, per via di un infortunio ai titolari, giocò una gara e non uscì più dal campo. Di lui ricordo una cosa: quando arrivava quasi sentivi tremare la terra alle tue spalle e sapevi che dovevi liberarti del pallone... quella sensazione me l’ha data soltanto un altro difensore. Si chiama Paolo Maldini...». Il Vicenza lo segue? «Ci mancherebbe! Sono sempre stato tifoso. Quando fui costretto a scendere di categoria, per le regole dei giovani varate in Lega Pro e che estromisero una intera generazione di calciatori, mi ero proposto a contratto in bianco, credo che lo fece anche Baù, ma non ci presero. Peccato non aver mai indossato la maglia biancorossa» Della stagione del Lane cosa pensa? «È una ripartenza e il discorso societario è al primo posto, non dimentichiamoci che ha rischiato di sparire. Ma viste le potenzialità un po’ di rammarico c’è. ma il torneo non è ancora finito. Per vincere un campionato in C ti servono giocatori di B, che abbiano personalità e dei giovani che corrono e hanno fame». •