<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Il ricordo a Zurigo

«La Fifa si muoverà per fare intitolare lo stadio Olimpico a Paolo Rossi»

I campioni del Mundial 82 uniti alla famiglia di Paolo Rossi e ai vertici del calcio con la Coppa. FOTO EPA/M. BUHOLZER
I campioni del Mundial 82 uniti alla famiglia di Paolo Rossi e ai vertici del calcio con la Coppa. FOTO EPA/M. BUHOLZER
Al museo della Fifa l'omaggio a Paolo Rossi (SMIDERLE)

E c’è ancora chi dice che il calcio è uno sport. Per carità, sarà anche uno sport. Ma è molto di più di uno sport. Se a quasi quarant’anni da un trionfo, il Mundial 82 in Spagna, e a un anno dalla scomparsa del suo principale protagonista, Paolo Rossi, entri nel Fifa Museum di Zurigo e ti vengono le lacrime a sentire le parole registrate del campione e a vedere la maglietta azzurra che indossava nelle semifinale vinta 2-0 con la Polonia, sì, quella dell’hombre del partido, vuol dire che non è solo un pallone rincorso da 22 pedatori in mutande. Lo capisci quando vedi gli occhi velati di Antonio Cabrini e Marco Tardelli, gli amici di sempre, e ci sta. Ma lo capisci di più ancora, quando anche l’ultimo impiegato della Fifa resta senza fiato a vedere quei campioni di cui ha letto qualcosa in pagine che sarebbero ingiallite dal tempo se il millennial in questione non le avesse viste su internet.

Leggi anche
Un anno senza Paolo Rossi. Il ricordo della moglie: «Quegli ultimi istanti, noi due mano nella mano»

Vengono le lacrime e pure la pelle d’oca ma non è una giornata triste. Federica Cappelletti lo dice chiaramente: «Se non ci fosse stato l’invito della Fifa e del suo presidente, Gianni Infantino - dice - io e le mie figlie, Maria Vittoria e Sofia Elena, saremmo rimaste sole a casa a ripensare a quel brutto giorno di un anno fa. Questa è invece una bella giornata che ci permette di ricordare Paolo insieme a tutti quelli che gli hanno voluto bene». Il fatto è che gli hanno voluto bene 60 milioni di italiani, e svariati milioni anche all’estero ma in questo fantastico Fifa Museum non ci sarebbero potuti stare tutti. In compenso tutti potranno venire ad ammirare alcuni cimeli straordinari che, grazie all’accordo con gli artefici della mostra itinerante “Un Ragazzo d’Oro” ideata da Marco Schembri e realizzata dalla Paolo Rossi Foundation, saranno in visione qui a Zurigo: oltre alla maglietta indossata contro la Polonia, si parte con la Scarpa d’orto e il Pallone d’oro (e quelli a Parigi manco lo hanno citato Pablito...), ma il succo è che nel mausoleo mondiale dei più grandi del calcio quel ragazzo mingherlino con la maglia biancorossa occuperà un posto fisso per sempre.

Lo dice Infantino quando, rivolto al presidente della Figc, Gabriele Gravina, sponsorizza l’intitolazione dell’Olimpico a Rossi: «È un esempio di valori per i giovani - avverte - la Fifa, per quel che può, è vicina a chi in Italia vorrebbe uno stadio importante a suo nome». 
Alessandro Rossi dribbla la questione che riguarda il padre e ricorda lo sgarbo subito dagli organizzatori del Pallone d’oro. «Davvero, una dimenticanza simile non è possibile - sbotta - ma poi penso a cosa avrebbe detto mio padre. Ci avrebbe riso su e sarebbe passato oltre». Così come c’è da giurarci che la questione dello stadio col suo nome non lo appassionerebbe più di tanto. Piuttosto lo appassionano, sì, verbo al presente, gli amici si sempre. Eccoli lì, i miti di tutti noi che hanno avuto la fortuna di incendiare la gioventù in quel luglio dell’82 davanti ai tubi catodici che illuminavano il tinello. Entrano alla spicciolata al Museum esibendo il green pass Claudio Gentile, Giampiero Marini, Alessandro Altobelli detto Spillo, Marco Tardelli, Giovanni Galli, Bruno Conti, Beppe Dossena. E si infila pure Gianluca Zambrotta, campione nel 2006 a Berlino. Il modo migliore per ricordare Paolo Rossi è quello di essere felici. E quando Infantino rimette nelle loro mani la coppa vinta a Madrid rivedi nei loro occhi anche gli occhi di quello che li ha fatti vincere. Per carità, il calcio è sport di squadra, ma i gol li ha cacciati lui. «Per lui la fortuna è stata andare a giocare in quel Lanerossi Vicenza - ricorda Marco Tardelli -. Lì è esploso ed è diventato il giocatore che tutti avete visto. Io, però, conosco bene l’uomo, l’amico che è stato. Un mix perfetto».

Spillo Altobelli rievoca come le sue strade si siano spesso incrociate con quelle di Paolo: «Primo incrocio in un Brescia-Vicenza di serie B, stagione 1976-77, doppietta io e doppietta lui. Secondo incrocio, l’anno dopo in serie A, seconda giornata, Vicenza-Inter, io segno il mio primo gol in serie A a casa sua. Poi abbiamo stretto alleanza in Nazionale e, per fortuna, è andata bene». Che storie, che storia. Vien da ridere quando Infantino consegna a Dossena, come a tutti i campioni, la maglia celebrativa della Fifa col numero 10. «Sì - scherza l’ex mezzala del Torino - sono l’unico numero 10 a aver vinto un mondiale senza aver giocato neanche una partita. Devo ringraziare Paolo per essere entrato a far parte di questo club».

Nella giornata che il Fifa Museum ha organizzato un modo perfetto c’è tempo anche per un flashback vicentino. Lo scatta Gianni Grazioli, direttore generale dell’Aic, che stupisce i presenti raccontando quando Paolo faceva il giornalista per Vicenza Radio Star nella stagione 1977-78 intervistando ogni settimana i campioni delle altre squadre. Prove generali che, qualche decennio dopo, lo avrebbero portato alla Rai e a Sky. I videomessaggi di Gianluca Vialli, Zibì Boniek, Kalle Rummenigge e Hansi Muller hanno di nuovo toccato le corde della commozione mista alla convinzione di essere davanti a uno dei più grandi di sempre. Lo ha simpaticamente riconosciuto in portoghese anche Arnaldo César Coelho, arbitro brasiliano della finale contro la Germania, che conserva le foto che lo vedono vicino a Rossi in campo come delle reliquie. E a Zurigo è arrivato anche Abraham Klein, l’arbitro israeliano di Italia-Brasile 3-2 a confermare che sì, Paolo Rossi era qualcosa di speciale, ora lo può dire. Marco Fazzone, direttore del Fifa Museum, riassume il concetto: «Il calcio è qualcosa di più di uno sport». Già. 

Marino Smiderle

Suggerimenti