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I testi vincitori

Il premio ai sei giornalisti in erba che hanno narrato il loro sport

I magnifici sei del giornalismo in erba. Sono i premiati del concorso riservato alle scuole e voluto da Gdv, Aic, Ussi e Ufficio scolastico provinciale, in occasione della 21esima edizione del Galà del calcio triveneto. Per le scuole medie i primi tre premi sono andati a Sara Esmail della 3a B Mainardi (Vicenza) alla compagna di scuola Agata Sottani della 3a C e a Nicoletta Craciun della 3a B Barolini, sempre di Vicenza. Medaglia d'oro delle superiori è stata Silvia Zebele seguita da Tommaso Aledda e da Carolina Bicego. Segnalazioni speciali sono andate a Benedetta Casolin della 3aSA del Tron Zanella di Schio, a Margherita Moro del liceo Fogazzaro di Vicenza e a Kailin Xu della 3aEE del Fogazzaro.

 

Pubblichiamo qui di seguito i temi premiati

 

Lo sport e il Covid: com'è cambiata in generale l'attività sportiva durante e "dopo" la diffusione del virus? Quali conseguenze hanno causato su di noi questi due anni di pandemia, a livello sia di praticanti presso palestre e piscine sia di spettatori e tifosi negli stadi e nei palasport? Illustra il problema e argomenta sulla base della tua esperienza con considerazioni e riflessioni.

Due anni di pandemia. il 21 febbraio 2020 molti studenti sono tornati alle loro case con la consapevolezza di essere liberi, erano iniziate le vacanze di carnevale, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare cosa sarebbe successo dopo. Ragazzi di terza media costretti ad osservare da lontano il passare della loro gioventù, per poi essere catapultati alle superiori senza nemmeno rendersene conto. Professori alle prese con strumenti, da sempre considerati semplicemente un ausilio, obbligati ad interagire con uno schermo diventato una vera e propria aula, l’unico mezzo per rimanere in contatto con altre persone. Amici divisi, genitori in crisi per il lavoro arretrato, bimbi piccoli annoiati, nonni soli, ansia, depressione, solitudine, tristezza, rabbia, noia, disperazione, distrazione e Speranza. Sì, Speranza. Impossibile a crederlo, ma la pandemia ha dato speranza. Nell’umanità, che è riuscita a risollevarsi dopo questo duro colpo, la diffusione dello slogan “Lontani ma uniti” ha dato speranza, la fiducia delle persone nei confronti dei medici, diventati eroi di chiunque, questo ha dato speranza, una piccola fiammella in un mondo di oscurità. Dopotutto persino rimanere a casa, riscoprendo i lati positivi della famiglia e di se stessi, ha illuminato le giornate. Cercando di abbattere l’imponente muro della noia, le persone hanno tentato di tutto: dalla cucina, che ha portato quasi all’esaurimento delle scorte italiane di lievito, per poi passare anche alla lettura, recuperando i libri più polverosi della libreria probabilmente comprati in un lontano passato solamente per sfizio. Ma dopo i vari mesi di reclusione il fisico umano cominciava a risentirne, oltre alla mente. Pertanto occorreva una soluzione per ristabilire il benessere psicofisico, per ridimensionare anche solo l’ansia generata dalle terribili notizie, divulgate ogni giorno dai telegiornali. È così che hanno cominciato a diffondersi video di personal trainer, applicazioni per dimagrire o per aumentare la massa muscolare, e persino corsi online di allenamento e yoga. Bastano un paio di cuffiette per abbassare il volume dei problemi e alzare quello della musica. Ci si distrae e ci si diverte, soprattutto quando il fratellino piccolo decide di emulare i più grandi pallavolisti di serie A e, con il sorriso sul volto, ti sfida ad affrontarlo. Prima della pandemia facevo pallavolo, non ero molto brava, mi piaceva però mettermi alla prova ad ogni allenamento, superare i miei limiti ad ogni schiacciata. Con mio fratello mi sentivo forte, i suoi complimenti mi facevano sentire una giocatrice professionista. In un primo periodo sembrava andare tutto allo stesso modo, la monotona routine vedeva uno spiraglio di libertà solo nei momenti di svago, in cui tutto se ne andava e ci trovavamo solamente mio fratello ed io, in un campo da pallavolo con una folla di spettatori senza volto acclamante sugli spalti. Passato il primo mese sono iniziati gli allenamenti online con la mia squadra, ed è qui che le cose sono cambiate. Le emozioni non erano più le stesse, l’armonia che legava ogni giocatrice si stava riducendo a dei miseri pixel disposti in sequenza sullo schermo di un computer. Persino l’allenatore aveva perso la sua allegria e sembrava essere sempre più affaticato ad ogni palleggio contro il muro. Fortunatamente, terminato il periodo buio della prima ondata di contagi, sono ripresi gli allenamenti in presenza, che ci hanno riportato nella vita di tutti i giorni in punta di piedi, con la paura di essere costretti a ripiegare. Sembrava di essere tornati alla normalità, una ventata d’aria fresca aveva scosso gli animi, per poi placarsi non appena varcata la soglia della palestra. Non era come prima. Era triste. Ogni giocatrice doveva portare con sé gel igienizzante, mascherina e il certificato medico, valido a confermare di non essere stata esposta ad una persona contagiata. Non ci si poteva avvicinare agli altri e ogni pallone doveva essere ripulito subito dopo l’utilizzo. La parte peggiore però è arrivata al momento della prima partita. Il pubblico era assente, il silenzio degli spalti trametteva un senso di solitudine tale, da portare chiunque a sussurrare per non infrangere quella quiete. Il rimbalzo della palla a ritmo con il cuore, le scarpe che ad ogni passo imploravano pietà, una squadra spezzata specialmente dalla distanza. Nessun “batti il cinque” di incoraggiamento, solamente uno sguardo che diceva più di mille parole. Gli allenamenti sono continuati, le partite non sempre sono state vinte, ma il silenzio è rimasto. Il cuore non batteva più a ritmo con la palla, l’entusiasmo diminuiva e la passione si allontanava. Ho continuato a giocare con mio fratello, perché in quei momenti, in quei brevi e fugaci attimi riuscivo a divertirmi, come non facevo da tempo agli allenamenti. Per un certo periodo ho riflettuto parecchio su cosa volessi fare realmente, nel frattempo ho continuato ad allenarmi a casa con qualsiasi cosa mi capitasse a tiro, infine ho preso la decisione di lasciare la squadra data la mia scarsa motivazione. Nulla è più lo stesso dopo il covid-19. Dopo la pandemia qualcosa è cambiato, dopo la pandemia io sono cambiata. 

Silvia Zebele, classe 4BU, Liceo Statale Fogazzaro di Vicenza

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Oggi tutti praticano sport: giovani, adulti, anziani. Esso è alla base del benessere quotidiano. È anche molto presente in tv, dove si trasmettono gare e competizioni di attività anche molto diverse tra loro ma riconducibili a due tipi: sport individuale e sport di squadra. Quale dei due tipi è più completo secondo te? Perché? Quali sono i pro e i contro degli uni e degli altri? Per quale ti senti più predisposto? Argomenta sulla base della tua esperienza con considerazioni e riflessioni personali.

È difficile parlare di un qualcosa detto “completo”. Il concetto di completezza ha un che di filosofico che nessuno considera mai. Quando una cosa è completa? La mia risposta è mai. Certo, si può parlare di una cosa più completa di un’altra, di un elemento che va ad influire sul cercare di completare, ma non di qualcosa che è completamente completo, perché anche se all’apparenza lo può sembrare, come per esempio un testo a buchi di una verifica di storia con le parole inserite correttamente, non lo è, o almeno lo è limitatamente al pezzo di testo che l’alunno si trova sul foglio. Sui riferimenti del completamento, di una vita o di una quotidianità, influisce sicuramente lo sport, che porta sicuramente impegni, passione, occupazione, è perché no, lavoro. Si tratta di un fattore importante in tutto il mondo, visto che comunque ognuno ha fatto o provato a fare uno sport almeno una volta, da grande o da piccolo, calcio o danza, almeno una volta si è fatto qualcosa. Ci siamo mai chiesti perché? Perché tutti fanno sport? Semplice. Perché aiuta. Nonostante possa in alcuni casi non piacere fare sport, aiuta sempre e comunque, anche se gli atleti o le squadre non se ne rendono sempre conto. Aiuta sotto tutti i punti di vista: benessere fisico e mentale, relazione, organizzazione, competizione, sfogo, spensieratezza, impegno, maturazione … sicuramente ogni campo è soggettivo, dipendentemente dalla situazione di ogni persona, però non c’è dubbio sul fatto che lo sport aiuti. Ma tornando al discorso di completezza, riguardo allo sport, sorge un grande dubbio che divide nettamente le opinioni di tutti: si tratta della suddivisione di sport singolo e di squadra, qual è il più completo? Indubbiamente entrambi sono "completi" in modo diverso, e la risposta, evidentemente, varia a seconda dell’esperienza di ognuno. Tendenzialmente la divisione delle idee corrisponde alla separazione di chi fa sport singoli o di squadra. Ognuno ha la propria idea e le proprie considerazioni e in molti casi sono contrastanti. Basandosi sull’esperienza, mi schiero dalla parte dei singoli più che delle squadre, nonostante avendo fatto entrambi, anche se dello stesso sport. La mia è una visione soggettiva delle cose, maturata nel corso di più di dieci anni nel praticare uno sport prevalentemente di singoli atleti, e che mi porta ad essere non contro, ma in contrasto con coloro che supportano o si schierano dalla parte opposta, com’è giusto che sia in un dibattito come si deve. Lo sport singolo è un’attività che influisce maggiormente sulla persona che lo pratica. Partendo da una semplice sconfitta, il singolo capisce che se è arrivato dove è arrivato è solo perché non ha dato abbastanza, oppure ha dato ma non era comparabile con altri, e da queste considerazioni il singolo cresce, si rende conto, sa dove lavorare per arrivare in alto, insomma tutto deve partire da lui. Ed è questo secondo me lo scopo della sconfitta: un’occasione per crescere e formarsi. Nello sport di squadra invece la sconfitta ha sì un significato, ma non che colpisce gli atleti come succede nel singolo: la drammaticità della sconfitta viene condivisa con tutti i componenti della squadra, e quindi si allevia il dolore ed è più facile non farci caso o comunque dimenticarsi di aver perso. Inoltre la sconfitta di squadra può essere “causata” dall’inadeguatezza di un solo componente, che quando se ne rende conto ci sta male e va involontariamente a svantaggiare il resto della squadra che magari ha dato il massimo, altro aspetto che risalta lo sport singolo. In uno sport singolo hai un faccia a faccia sì con gli avversari, ma soprattutto con te stesso: ci siete tu e tu, tu sai come e cosa devi fare, quanto devi dare, sai che tutto parte e dipende da te. Contrariamente avviene per lo sport di squadra, dove tutto dipende dagli altri e da un contributo che dà ogni singolo, contributo che a volte può aiutare nell’andamento di una competizione, ma che a volte può danneggiarlo, fattore che porta a responsabilizzarsi, ma fino ad un certo punto. La responsabilità nella vita può essere visto anche come organizzazione. Quando si hanno delle cose da fare, come studiare o lavorare, sotto la propria responsabilità, è necessaria una buona organizzazione, che porti al giusto e buon svolgimento di queste cose. La capacità di organizzarsi è maggiormente maturata, dal mio punto di vista, da coloro che svolgono lo sport singolo, specialmente ad alto livello. Parlando a livello nazionale, quale mi appartiene, questa capacità è dovuta all’elevato numero di ore di intenso allenamento necessario all’atleta singolo, che allo stesso livello sono oggettivamente maggiori rispetto a quelle che servono ad una squadra. Inoltre possiamo precisare il fatto che le ore di allenamento siano maggiori anche perché nel singolo c’è un lavoro molto più personale. Nel mio sport l’esibizione singola va oltre il fatto di essere un oggetto di valutazione per i giudici, ed uno di competizione per l’atleta, ma bensì diventa una forma di espressione personale: nelle esibizioni di pattinaggio, per quello che è il mio mondo, io riesco perfettamente ad esprimere il mio stato d’animo, la mia personalità, e a dimostrare quanto impegno ci metto. L’esprimere l’impegno in una squadra invece può risultare solo se c’è un effettivo impegno da parte di tutti i componenti, basta un singolo a cui non interessa metterci impegno per penalizzare tutti. Diversamente si possono trattare i fatti dell’espressione personale: in uno sport di squadra come il calcio, si percepisce l’umore dei giocatori solo quando lo si vede spiccare confronto agli altri, infatti si classificano giocatori più forti rispetto ad altri, creando così un rapporto di disparità tra tutti i componenti del gruppo. Negli sport come il pattinaggio o la danza, i singoli è come se recitassero una parte, un copione, che corrisponde ad un preciso tema scelto per l’esibizione a cui tutti devono adeguarsi, ed è proprio questo che non ci permette di capire come stanno i singoli, visto che da fuori, stanno recitando una stessa parte. Indubbiamente anche qui qualcuno può spiccare maggiormente di altri, però si va in contro a quella che è la filosofia del gruppo: sempre nel pattinaggio, gli unici esempi di spicco evidenti sono i protagonisti, che vengono scelti nel momento in cui se ne ha bisogno per la corretta rappresentazione del tema o della storia, ma al di fuori di questi non dovrebbero essercene. Il giudizio dei giudici si basa sulla formazione delle strutture che il gruppo esegue durante la sua presentazione, omogeneità e identicità nel modo e nei tempi dei movimenti anche se spesso questo fattore coinvolge, in parti, dei sottogruppi invece dell’intera squadra. Questo volere dei giudici di vedere uguaglianza all’interno del tutto, tollera solo i fatti in cui ci siano dei protagonisti o personaggi inerenti alla trama che svolgono cose diverse, ma una disparità di distanza a due a due, un singolo che esegue un movimento un secondo dopo un altro, vanno a togliere a quello che sarà poi il punteggio che decreterà il posto in classifica, dalla quale deriva la possibilità di arrivare più in alto. Entrando in argomento relazioni, relazionarsi con gli altri avviene in modi certamente diversi per singolo e squadra. Per quanto riguarda il singolo, ognuno si relazione in primis con le persone con cui fa allenamento (che però non vanno a formare un gruppo), e con le persone esterne durante le competizioni. Il relazionarsi nel singolo va a rispettare di più le personalità, le simpatie e le antipatie rispetto alla squadra: se nel singolo passare tempo con una certa persona può infastidire, l’atleta può semplicemente evitarla, dedicandosi di più agli altri o a se stesso. Nella squadra invece il rapporto tra i singoli deve essere buono, principalmente per non dare origine a discussioni che potrebbero influire sulla preparazione di tutti, ma ogni singolo deve anche sopportare le sue antipatie, in quanto deve e dovrà averne a che fare per il resto della carriera della squadra. Molto spesso tutti danno per scontato la superiorità dello sport di squadra, ma questo può essere dovuto dal fatto che si cresce vedendo principalmente quello. Impossibile negare che lo sport che si vede di più, in TV o dal vivo, è il calcio. In secondo piano ci sono comunque la pallavolo, la pallacanestro … Oltre a quelli olimpici, gli sport singoli sono davvero messi troppo in secondo piano, infatti in TV si vedono effettivamente poco niente, senza considerare la Motogp e la Formula1 che hanno la loro rilevanza nel mondo del piccolo schermo. Quindi per quanto mi riguarda, gli sport singoli dovrebbero essere messi di più in luce, portando così una preferenza per questi ultimi non solo da parte di coloro che li praticano. In conclusione a quanto detto, penso che alle persone farebbe meglio praticare uno sport singolo, che permette a mio avviso una migliore crescita dal punto di vista fisico, sportivo e umanistico.

Tommaso Aledda - 3SA - IIS Tron Zanella

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Oggi tutti praticano sport: giovani, adulti, anziani. Esso è alla base del benessere quotidiano. È anche molto presente in tv, dove si trasmettono gare e competizioni di attività anche molto diverse tra loro ma riconducibili a due tipi: sport individuale e sport di squadra. Quale dei due tipi è più completo secondo te? Perché? Quali sono i pro e i contro degli uni e degli altri? Per quale ti senti più predisposto? Argomenta sulla base della tua esperienza con considerazioni e riflessioni personali.

Il nostro è senza dubbio un Paese in cui di sport si parla molto. Se ne parla sui giornali, alla televisione, sui social e nelle discussioni tra amici. Per alcuni lo sport è diventato una specie di elisir di giovinezza, qualcosa da praticare per sentirsi eternamente giovani e in forma e non necessariamente questo succede in ogni caso. Personalmente credo che occorra essere realistici e saggi e non pretendere da se stessi performance che magari l’età non consente più. Conosciamo tutti persone che si ostinano a praticare sport che non sono più adatti all’età e che faticano a comprenderlo. Per altri invece lo sport, e soprattutto il calcio, rappresenta una sorta di materia di studio in cui tutti si sentono laureati con lode tanto da poter dare lezioni anche ai professionisti. Per altri ancora purtroppo lo sport, e anche qui il calcio è tristemente protagonista, non è altro che la valvola di sfogo anche violento per un’insoddisfazione sociale e politica. Sappiamo tutti quanti soldi girano nel mondo dei calciatori professionisti e probabilmente ammettiamo anche che questo porta ad esagerazioni che con lo sport non hanno niente a che fare. La mia, peraltro, è un’esperienza un po ’particolare perchè sono una ragazza e il calcio mi piace. Mi piace al punto che l’ho praticato per anni, divertendomi anche molto, prima di doverci rinunciare perchè ancora oggi questo è uno sport eminentemente maschile. Così maschile che è rimbalzata su tutti i giornali la notizia che la squadra di calcio femminile dell’Afghanistan ha ottenuto asilo in Portogallo. Questa è ancora una cosa che può essere letta come un simbolo. Un simbolo di libertà per ragazzine come me che vogliono poter perseguire il loro sogno, esattamente come avrei voluto fare io. Ma dal momento che, nella mia società sportiva, mi sarei trovata a giocare con maschi, ho pensato di cambiare e ho cominciato a giocare a tennis. Del gioco di squadre rimpiango esattamente questo: la squadra appunto e la consapevolezza che le azioni di ciascuna si riflettevano sul risultato di tutte. E ’molto bello, soprattutto alla mia età, sentire di far parte di qualcosa, impegnandoti a fondo perchè la vittoria sia condivisa dalle compagne e la sconfitta sia consolata dalla consapevolezza di aver dato il massimo. Si crea una complicità e un affiatamento che difficilmente si ritrova altrove. D’altro canto, lo sport individuale ti permette di contare soltanto su te stesso e di non condividere i tuoi successi con nessuno. Sei tu che ti metti alla prova e nessun altro può condividere con te la responsabilità di eventuali errori o la soddisfazione della vittoria. Personalmente non credo che ci sia una maggiore completezza nell’uno o nell’altro tipo di sport. Dipende dalle circostanze in cui ti trovi, dipende dalla tua indole e infine, soprattutto, dalla tua predisposizione. Vorrei aggiungere infine che, senza nulla togliere alla validità di un’esperienza sportiva, esistono anche altre forme di talento, che meriterebbero di trovare un loro posto nella comunicazione sociale. Studiare uno strumento, scrivere o dipingere sono cose di un’importanza fondamentale che invece troppo spesso sono del tutto ignorate e sottovalutate.

Carolina Bicego - 4^ Liceo Scientifico ad indirizzo sportivo – Istituto Farina Vicenza

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Lo sport viene praticato ormai da tutte le persone, uomini, donne, bambini, anziani e adulti. La maggior parte di essi non pratica uno sport di squadra, ma sport individuale. Qual è la causa di ciò?

Oggi giorno noi studenti siamo molto impegnati con la scuola: compiti, verifiche e/o impegni personali e familiari e, anche per questo, non riusciamo a incontrare i nostri amici per qualche minuto, per giocare insieme a calcio, correre e praticare tutti gli sport che potevamo fare da bambini. Quindi pratichiamo sport singolarmente. A mio avviso è bello e stimolante fino ad un certo punto: quando si gioca in squadra, ci si diverte il doppio, perché si fa gruppo, si socializza, impariamo a stare insieme nel rispetto delle regole. Tutte le stagioni ci consentono di fare sport: in inverno, quando camminiamo nella neve e sciamo, in primavera, quando corriamo nei prati e giochiamo a pallone, basketball o volleyball, in estate, quando nuotiamo nel mare o in piscina e giochiamo sulla spiaggia con il pallone, e in autunno, quando mentre ci spostiamo nel campo da calcio, le foglie scricchiolano sotto ai nostri piedi. Se giochiamo individualmente, come possiamo fare tutte queste cose? Io ho provato tutto questo sulla mia stessa pelle: una semplice attività fisica, come una corsetta nel parco, può sembrare noiosissima se eseguita individualmente. Per questo, secondo me, bisognerebbe salvare nel nostro tempo libero anche solo qualche minuto per giocare insieme ai nostri amici, familiari e altre persone, perché lo sport di squadra è l'esperienza più bella che si possa provare. Gli sport di squadra migliorano le relazioni. Si può anche giocare con una persona sconosciuta e diventare amici, scoprendo di avere le stesse passioni per lo sport. Inoltre, gli sport di squadra stimolano la determinazione dei ragazzi. Quindi, perché giocare da soli quando lo si può fare insieme? Molti sono ancora contrari, ma secondo me, è meglio sfruttare un’opportunità così bella se ci capita. Anche io, che sono una ragazza introversa, preferisco gli sport di squadra a quelli individuali. Penso essi siano una parte fondamentale della nostra infanzia, ci consentono di crescere e maturare, possono essere ripresi e praticati anche da adulti o anziani. Io gioco a basketball tre volte alla settimana, e, a mio avviso, giocare a basketball da soli non è per niente una bella esperienza. Il basketball non vuol dire soltanto fare canestro; è uno sport che richiede partecipazione, concentrazione, tecnica e strategia. Bisogna avere diversi compagni di gioco, oppure il gioco non è completo e divertente L’ unione fa la forza anche nello sport!!!

Sara Esmail - 3B scuola Mainardi (Vicenza)

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Lo sport e il Covid: com'è cambiata in generale l'attività sportiva durante e "dopo" la diffusione del virus? Quali conseguenze hanno causato su di noi questi due anni di pandemia, a livello sia di praticanti presso palestre e piscine sia di spettatori e tifosi negli stadi e nei palasport? Illustra il problema e argomenta sulla base della tua esperienza con considerazioni e riflessioni.

“La palestra in casa”. Marzo 2020: lockdown. Scuole chiuse, uffici chiusi, strade deserte e palestre chiuse. Ci si ritrova CHIUSI IN CASA a creare SVOLGERE lavoretti, cucinare torte e pizze di tutti i tipi e a fare il cosiddetto “workout” da casa. Si guarda su siti strani come “tenersi in forma insieme" e “non temere il workout”. Si finisce con il comprare persino un abbonamento online per fare attività, quando basterebbe solamente prendere un video su YouTube e imparare a fare yoga, fitness, atletica leggera, cardio magari anche insieme alla propria famiglia. CI SONO CASCATA ANCH’IO...Mi è capitato di installare un’applicazione, quando eravamo in DAD, di allenamento: non mi è piaciuta per niente. c’era un cronometro che controllava il tempo che ci mettevi per fare venti squat o dieci flessioni e se impiegavi meno di trenta secondi ti diceva “bravo! Hai completato l’attività in tempo!” mentre se ce ne mettevi di più, nella attività successiva, ti diminuiva i secondi, sempre di più, fino ad arrivare a 0 secondi: “hai perso”, “non ce l’hai fatta”. Questi sono i messaggi che dovrebbero stimolarti a fare ancora ginnastica? Io non credo. Se ogni volta che si fa un errore vengono ricordati anche quelli precedenti ti demoralizzi. Non cerchi più il divertimento, la soddisfazione: cerchi solo la perfezione. Ma, purtroppo o per fortuna, la perfezione non esiste quindi non la puoi trovare.
“La lenta ripresa”. Luglio 2020: libertà, anche se limitata, bar e ristoranti aperti, anche se con il distanziamento, palestre aperte, anche se con la mascherina. Tutto è cambiato: il modo di pensare, di socializzare, il modo di vivere. Si può andare al mare e fare sport in spiaggia o con l’animazione, si può andare in piscina e nuotare, si può andare in montagna e oltre a fare lunghe camminate anche stare un po' al fresco. Diciamo che ci sono più possibilità di fare sport del periodo precedente ma ci sono comunque più preoccupazioni, responsabilità e paure: “ho un po' di raffreddore: ho il COVID?” “ho un po' di tosse: ho il COVID?” ormai è una parte di noi e può anche distruggere la vita di un individuo: quando prendi il COVID potresti anche non poter più fare sport a causa dei danni permanenti causati da esso. Se, ad esempio, attacca i polmoni non puoi fare molto perché, insieme ad uno sforzo troppo pesante come magari un allenamento che prima facevi normalmente, potresti anche svenire o mancarti l’aria.
“Vuoi fare sport? Green Pass, prego”. Gennaio 2021: dopo aver chiuso e riaperto tutte le varie attività compresa la scuola inizia la campagna vaccinale: prima i medici, i lavoratori, poi le persone più a rischio o anziane e infine noi ragazzi. Io e alcuni miei coetanei, sinceramente, volevamo essere vaccinati per un semplice motivo: il GREENPASS. Sembrava come un pass “divino” per andare a mangiare fuori, viaggiare, allenarsi in palestra, come ai vecchi tempi. Ma ci sono comunque delle differenze perché si deve comunque tenere la mascherina, il distanziamento e tutte le altre precauzioni del caso. DA AMPLIARE
“E’ tutto a posto? Possiamo correre liberamente?”. Novembre 2021: ormai abbiamo capito… è sempre lo stesso ciclo: si alzano i casi, lockdown, DAD, si abbassano i casi, zona bianca, libertà. Ora abbiamo ripreso a fare attività tranquillamente nei soliti posti con i nostri allenatori, maestri, compagni e amici. Ma chi lo sa cosa succederà tra un mese? Potrebbe esserci l’ennesima ondata, l’ennesimo lockdown. Non lo possiamo sapere. Ed è per questo che vi dico una cosa: godetevi la libertà finché c’è rispettando le regole. 

Agata Sottani - 3C scuola Mainardi (Vicenza)

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Sempre uno/a a salire sul gradino più alto del podio. Arrivare secondi, terzi o addirittura quarti (alle Olimpiadi, la cosiddetta medaglia di legno) è una mezza delusione? Conta solo vincere? Vale solo per lo sport?

La nostra vita è costantemente piena di delusioni, che siano provocate dall’amore, dalla scuola o anche dallo sport. E noi non ci possiamo fare niente, dato che la competitività fa parte di noi, ogni singolo giorno. Lo sport spesso è una salvezza per noi ragazzi ed è essenzialmente uno svago, anche se spesso e volentieri è accompagnato dalla competitività, che non sempre è sana. Ogni sportivo, infatti, tende a mettersi in competizione ed a paragonarsi agli altri. Ed è così che molte volte non si accetta che qualcuno di noi sappia fare meglio una cosa. Certamente quello di diventare i migliori non dovrebbe essere l’obiettivo principale di uno sport, anzi, si dovrebbe prendere l'attività fisica come un piacere da non guastare in questo modo. La competizione molte volte può diventare un nemico della salute mentale, perché rappresenta un modo alterato di dimostrare di essere più bravi degli altri. Di conseguenza lo stress e la pressione non lasciano spazio ai veri e propri motivi per cui si decide di fare sport. Non arrivare primi è di sicuro un dispiacere per tutti, ma può essere anche un'opportunità per guardare dove si ha sbagliato o dove non si è riusciti ad arrivare e migliorarsi, ovviamente non in modo spropositato. Ma queste situazioni avvengono solo nello sport? In realtà no, ci troviamo in questi contesti più volte di quanto immaginiamo, quando un nostro compagno risponde ad una domanda prima di noi, quando nostra mamma dà da fare qualcosa a noi e i nostri fratelli, e in moltissime altre occasioni. Questo però non è affatto giusto per la nostra mente, perché tendiamo ad applicare questo pensiero per troppe circostanze e quindi rovinando ogni cosa che facciamo. Essere una persona sottoposta a molti stress, che si accumulano piano piano, è una delle cose peggiori che possa capitare, perché non si riesce a ricavare nemmeno un momento per se stessi, respirare, dedicarsi un momento di pace. Qualcuno che è di indole competitiva fin da piccolo , è “maledetto” a vita, fin da subito, ed è molto difficile riuscire a togliersi una caratteristica simile di dosso. L’amicizia, la compassione, la solidarietà e l’aiuto reciproco non sono basilari solo nello sport, ma anche nella vita di tutti i giorni; ed è per questo che le regole delle attività sportive sono un modello da seguire. Detto questo, è certamente normale, quindi, rimanere delusi per un sconfitta, ma ciò non giustifica i comportamenti negativi assunti, a volte, dai vinti. Ciò conferma quello che ho precedentemente detto: lo sport è puro divertimento condito con un pizzico di sana competizione.

Nicoletta Craciun - 3B scuola Barolini (Vicenza)

 

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