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Basket femminile

Giorgia Sottana, capitana del Famila: «Vent'anni fa il mio esordio in A1. Era un mondo meno individualista»

Vent'anni in campo, due libri e 26 trofei dopo, con oltre 450 presenze e 3500 punti in A1, Giorgia Sottana guida il Famila da capitana
Vent'anni di canestri Giorgia Sottana a inizio carriera con la Reyer e qualche anno fa a Schio (Foto Nuova Venezia/Studio Stella)
Vent'anni di canestri Giorgia Sottana a inizio carriera con la Reyer e qualche anno fa a Schio (Foto Nuova Venezia/Studio Stella)
Vent'anni di canestri Giorgia Sottana a inizio carriera con la Reyer e qualche anno fa a Schio (Foto Nuova Venezia/Studio Stella)
Vent'anni di canestri Giorgia Sottana a inizio carriera con la Reyer e qualche anno fa a Schio (Foto Nuova Venezia/Studio Stella)

Era il 15 febbraio 2004. Quasi vent'anni fa, Venezia-La Spezia, quando il campionato andava per "fasi". In campo c'erano stelle come Vicki Hall e Angela Gianolla: in panchina, pronta a esordire nella massima serie, una quindicenne trevigiana innamorata della pallacanestro: Giorgia Sottana.

Quel giorno giocò un minuto e segnò i suoi primi due punti. Vent'anni, due libri e 26 trofei dopo, con oltre 450 presenze e 3500 punti in A1, guida il Famila da capitana.

Si avvicinano i vent'anni dal suo debutto in serie A1: cosa ricorda di quel giorno e come lo vive oggi?

Quando mi sedetti sulla sedia del cambio, ero consapevole che sarebbe stata la prima partita di tante, ci speravo e così è stato. Ho fatto un bel pezzo di strada, questo mi rende orgogliosa. Nei primi anni subì due infortuni pesanti al ginocchio destro.

Come ne uscì?

Il primo è stato veramente tosto, ero una ragazzina: pensi di essere invincibile e che non ti succederà niente, in più non c'erano i mezzi di oggi. Fu un duro colpo, ma decisi di superarlo. Nel secondo caso ero più consapevole e volevo operarmi subito per tornare in campo: sono stata ferma a lungo, ma non ho mai pensato che mi avrebbero stroncato la carriera.

Com'è cambiato il basket femminile rispetto a vent'anni fa?

Un tempo c'era una consapevolezza diversa: le giovani erano più focalizzate sulla squadra, ora sull'io. Va così nel mondo, manca uno sguardo d'insieme e questo si rispecchia nel gioco: emergono più le prestazioni individuali rispetto al contesto di squadra, non è facile accettarlo. L'obiettivo primario non è più "voglio vincere lo scudetto", ma "voglio fare la mia miglior stagione". È giusto guardare l'individualità, ma in un sistema ecologico: miglioro per migliorare l'ambiente in cui sono, non solo per me stessa, altrimenti diventa uno sport individuale. I risultati di questa nuova cultura li vedremo tra un paio d'anni, ma alcune differenze comincio già a notarle nel campo per bambini che seguo in estate.

Come fa a reggere ancora a questi ritmi a 35 anni?

La mia svolta, personale e a livello di gioco, è arrivata quando ho raggiunto consapevolezza di me: è un lavoro introspettivo, a volte faccio ancora fatica, ma ti porta a scegliere le persone che vuoi accanto e a eliminare il resto. Poi conduco una vita sana da anni, è un valore.

Cosa vede nel suo futuro?

Pensiamo un anno alla volta. Ho anche altri interessi, vorrei smettere quando mi renderò conto che non riuscirò più a reggere. Oggi sto bene e il ritiro non è un pensiero.

A breve diventerà mamma: come cambierà il suo modo di vivere la pallacanestro?

Immagino che le priorità saranno altre: mi impegnerò ancora, ma dovrò "compartimentare" di più il basket. Darò il massimo in palestra e, una volta fuori, dedicherò tutte le energie per una terza persona.

Capitolo Coppa Italia: la sua prima la vinse a Schio in maglia Reyer nel 2008, fu mvp nel 2012 con Taranto e nel 2015 con Schio. Quest'anno chi è favorita?

Finora abbiamo dimostrato di essere più altalenanti di Venezia. Le coppe portano via tante energie e giocare in Eurocup non è come fare l'Eurolega: col doppio impegno che abbiamo, ci sta che siamo altalenanti; loro sono solide e stanno facendo un bel campionato. Vedremo.

Un consiglio per le giovani che sognano un futuro nella pallacanestro?

Quando cominci ci sono due cose fondamentali: il rispetto delle persone con cui giochi, e di chi l'ha fatto prima di te; e poi capire che l'individualità è importante se ne beneficia la squadra. Niente vale più di vincere in un gruppo che ha lavorato per farlo. Di tutti gli scudetti che ho vinto, ricordo di più quelli in cui ero in un contesto di squadra, in cui l'egoismo era pari a zero, l'obiettivo primario di tutte era vincere: a Taranto e quello del primo anno di Dikeoulakos, c'era un bel gruppo. È un sentimento ineguagliabile.

Edoardo Mario Francese

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